Vi spiego.
I The National non sono la band della vita. Possono essere la band dell'anima. Ieri credo che Matt abbia detto un po' la chiave di volta di tutto: "la prima volta che siamo venuti in Italia credo ci fossero state 20 persone a sentirci, eravamo all'Hana-bi. E c'erano queste persone che ascoltavano questa band con queste canzoni un po' deprimenti sulla spiaggia. Credo che alcune le abbiamo invogliate ad andare altrove sulla spiaggia, e ora invece siete qui che sembra un concerto degli U2 da quanto battete le mani".
I National sono per noi, gente riservata.
Quando noi gente riservata li ascoltiamo non è che diciamo come gli altri che pensano "sì, bravi, ma a tratti anche duepalle". No, è che loro sono la nostra colonna sonora, ed è un po' come parafrasare Silvestri in una canzone: quando siamo felici, ascoltandoli siamo felici e quando siamo tristi sono la colonna sonora della nostra tristezza. Utilizzando quindi concetti medioevocattolici: band dell'anima.
Al di là di questo direi che ieri sera c'è stata quella conferma che alcune band sono più da posti al chiuso, per controllare meglio suono ed emozioni. In questo, anche il confronto con Beirut così fresco e così immediato è stato un po' fuorviante. Il concerto dei The National è stato sempre bello, come una di quelle messe protestanti che ti fanno cantare alleluya tutti assieme, ma non so. E' mancato qualcosa che avvolgesse sonoramente tutti, oltre al caldo con qualche folatina di vento. Lungi da dire che è brutto, ma è mancante. La prova sarà sentire frasi come quelle del titolo del post a un festival, in uno spazio gigantesco. Perché non so, forse troppo spazio attorno a sentire Berninger e compagni, dopo che tu li senti in cuffia e ti fanno da coperta di Linus, ti disperde.
Concerto figo, non concerto dell'anno, ma vedere i The National è sempre qualcosa di eccezionale. Per ieri dovreste mangiarvi i gomiti per aver perso il migliore opening act mai visto, ossia Beirut, e alcuni dei loro componenti a rafforzare alcune canzoni dei National nel finale.
Quello davanti a me dovrebbe aver fatto il bootleg, non dovrei aver sofferto invano ad averlo avanti. Chissà dove lo mette.
L'ultima nota di colore, è quella che ho pensato quando Berninger ha gettato la giacca nel retropalco. Insomma: si diceva tanto che i camionisti andavano nei paesi dell'ex blocco sovietico con le calze di nylon per cuccare sicuramente direi che si può fare una cosa similare oltreoceano. Dal fiorire delle camicie da boscaiolo lì tra i cantanti ammerrigani direi che si può partire per gli US con uno stock di camicia tovagliata e averci dei numeri.