Natale, non inteso come nome. Ma quella cosa che sta arrivando.

E alla fine quell’immenso campionario di buonismo spiccio e di riti sempre uguali, meglio conosciuto come Natale, è arrivato anche quest’anno. Sparare addosso al Natale è troppo facile e fa anche molto atteggiamento da odioso radical chic. Ma non posso farci davvero nulla se di questi tempi sono scazzata come capita poche volte durante il resto dell’anno. E considerando che sono un soggetto tendenzialmente ansioso, ne scaturisce che il livelli di frustrazione che raggiungo a dicembre sono elevati da fare spavento. Del Natale, ad essere sinceri, non mi piace davvero un cazzo. A iniziare da quando non puoi più uscire con la macchina. Ed è solo il 3 dicembre. La psicosi da regalo, la crisi da parcheggio, le partite a carte che devono essere necessariamente organizzate. E poi ‘sta faccia di Babbo Natale che compare ovunque tipo Grande Fratello. E le pubblicità con le famiglie felici e le canzoncine intonate dai bambini. Le dodici ore sulla A1 per tornare a Foggia. Le città che, dalle 19 del 24, si spopolano misteriosamente fino al 27 mattina. O al 26 pomeriggio se ti dice culo. E poi il cenone del 24, il pranzo del 25 e il contropranzo del 26. La pioggia di auguri che arriva da ogni parte come se festeggiare la nascita di Gesù Cristo sia la cosa più entusiasmante che sia mai successa nella vita di tutti. Che se poi è il compleanno di Cristo, perché ci si fa gli auguri a caso tra di noi? E’ come se il giorno del mio compleanno mio cugino telefonasse per fare gli auguri a un mio amico. Il Natale, poi, è l’unica festa che pretende gli auguri non solo nel giorno in cui si festeggia. Gli auguri di Natale iniziano dall’8 dicembre e solo grazie all’arrivo del Capodanno cessano a fine dicembre. Altrimenti saremmo capaci di protrarli fino alla Befana, quando gli auguri per l’anno nuovo lasciano il posto alla simpaticissima e geniale ironia di tutti quelli che fanno gli auguri alle ragazze, che per uno strano gioco del sarcasmo diventano tutte befane, anche le più fighe del pianeta.A pensarci bene sono tre le cose del Natale che odio di più.

La Christmas Card o quello che poi è diventato nei tempi.  La vita dell’uomo era felice e, sotto Natale, solo un po’ più triste. Poi è arrivata la Christmas Card e tutto è diventato più difficile, con il cellulare che squilla ogni tre secondi per segnalare l’arrivo dell’ennesimo messaggino. Improvvisamente si ricordano di te persone che non vedevi più dalla terza elementare. Si ricordano di te ma non con abbastanza piacere da dedicarti un messaggio esclusivo. La perversione della Christmas Card è che diventi parte di un tutto. Non il messaggio a una persona, ma i messaggi alle persone. Generiche. E via così a ondate di sms uguali per tutti che vengono inviati indiscriminatamente grazie all’opzione “invia a molti”, che già di per sé è un’espressione di una vaghezza infinita. E fra i generici molti ci sei anche tu, che sei costretto a fare sforzi di memoria allucinanti per capire chi è la Marta che si cela dietro un “Ciao! (l’assenza di nome è il primo inequivocabile segnale che si è in presenza di un messaggio standard) Ti auguro i più sinceri auguri di buon Natale e felice anno nuovo. Baci”. Tutto tremendamente vago. Il che ci porta a una necessaria considerazione. Se è ovvio che io non scriverei mai un messaggio del genere a una persona a cui tengo, ne consegue che potrei mandare messaggi di questo tipo solo a persone delle quali non me ne frega un cazzo. Ora: immagino sarete d’accordo con me nel considerare che non c’è un reale motivo per cui bisognerebbe mandare un messaggio di auguri a una persona della quale non ce ne frega una ceppa. Né mi spiego perché dovremmo comprare una scheda che ci permetta di farlo. Sarete quindi d’accordo anche nel carpire la vera assenza della Christmas Card: un carta che uno compra per spedire messaggi anonimi a persone delle quali non gliene potrebbe fregare di meno. La Christmas Card è il trionfo dell’assurdo. Fortuna che negli ultimi tempi è cambiato: sì, tutti su whatsapp a rompere il cazzo.

La tombola. Odio la tombola non per il gioco in sé, che è abbastanza neutro. Meno appassionante del Risiko ma comunque meglio del tris. Odio la tombola per chi la gioca. In particolare sono due le categorie di giocatori che mi fanno odiare l’ideatore della tombolata. Quelli impulsivi e quelli riflessivi. I primi sono quelli che si scatenano subito, al primo numero. La loro esuberanza si manifesta immediatamente con la chiamata dell’ambo. Al primo estratto, quando la matematica dice che non è possibile. Oppure, ma questa è una scuola più per intenditori, lo zuzzurellone di turno, chiamato, che so, il 26 come primo numero, rilancia subito con “E’ già uscito il 34?”. Ovviamente i numeri variano in base alle situazioni. Poi c’è il Giocatore Umorista Riflessivo che è quello che tiene la gag per la fine del gioco. Quando ormai si è in gara per la cinquina o per la tombola, il G.U.R. continua a chiamare i premi minori (ambo, terno, quaterna), gioendo come se avesse ancora diritto alla vincita. Quando i fenomeni si manifestano nello stesso soggetto – e non è raro – l’effetto può essere devastante. Il problema vero è che, in presenza di ognuna di queste battute, la gente al tavolo ride sempre di gusto.

I film di Natale. Questa è forse la piaga più grande. Una sfilza di pellicole d’autore sulla vita di Cristo e di b-movie sul buonismo natalizio invadono lo schermo, annullando ogni velleità del telespettatore. Passino i primi, che comunque frantumano i coglioni dopo la seconda visione, sui secondi c’è da spendere qualche parola. I film di Natale devono soddisfare tutti due esigenze: fare piangere e far sorridere. Ridere sarebbe troppo. Quindi largo a orde di ragazzini figli di genitori divorziati e dubbiosi sulla casa nella quale affronteranno il cenone, bambini malati che vengono derisi da tutti perché parlano con Babbo Natale, pezzi di merda che conoscono uno dei bambini appartenenti alle prime due categorie e diventano dei pezzi di pane, bande di ragazzi disadattati che alla recita di fine anno fanno inspiegabilmente più bella figura della banda di fighetti laureati in drammaturgia che da secoli vince il concorso delle recite di fine anno. Questa in particolare è una costante del film di Natale: i ragazzini volenterosi senza mezzi che vincono su quelli preparatissimi in tutto ma fighetti. Io, neanche a dirsi, sto sempre dalla parte di questi ultimi. Ragazzi e ragazze che solo perché un po’ stronzi nell’animo devono essere ridimensionati da mocciosi impacciati guidati da professori improvvisati. In Sister Act 2 è evidente che il coro di Suor Maria Claretta non è il migliore. Eppure vince. Lo stesso avviene nel film con la gara tra cheerleader, del quale adesso mi sfugge il titolo. L’unico film che rende giustizia alle sfide sul palco è La rivincita dei Nerds, dove francamente l’esibizione dei tri-lambda è la migliore. Non a caso non è un film di Natale. Comunque, tornando ai film natalizi, dimenticavo quello gradisco di più: quello con il vecchio barbuto che non sa di essere Babbo Natale. O che dice di esserlo senza che nessuno ovviamente gli creda. Non mi ricordo neanche bene la trama. So che lo vedo ogni anno e che cambio canale sistematicamente dopo cinque minuti. Quando riuscirò a mettere insieme tutti i frammenti scriverò un post apposito.


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