Un incantesimo per il bagno di riposo e tregua che ti farà sentire fantastico

La vita è spesso frenetica e raramente lascia abbastanza tempo e spazio affinché le streghe indaffarate possano rilassarsi adeguatamente. Sembra che ogni settimana i nostri programmi diventino un po’ più serrati e dobbiamo lottare un po’ più duramente per fare spazio alla cura di noi stessi. Questo incantesimo è stato progettato pensando alla strega impegnata. Non solo è un modo fantastico per rilassarti e purificare la tua energia in modo da poterti sentire riposato, ma funge anche da incantesimo per portare più riposo e relax nella tua vita quotidiana! 

E davvero, chi non desidera un po’ più di ricerca e sviluppo?

Avrai bisogno:

  • Lavanda per la felicità
  • Rosmarino per purificare la negatività
  • Sale marino per purificare la negatività (o sali di Epsom se preferisci)
  • Camomilla per protezione e relax
  • Un filtro per il caffè
  • Un elastico

Nota: la camomilla NON deve essere utilizzata se si soffre di allergia all’ambrosia o alle margherite!

Inizia allestendo lo spazio del tuo bagno, se non hai molto tempo puoi mantenerlo semplice, ma una piccola preparazione aggiuntiva può portare un bagno medio al livello successivo. Accendere qualche candela o incenso, mettere della musica rilassante e magari versarti un bicchiere di vino può aggiungere all’atmosfera e aiutarti a entrare in uno stato di rilassamento ancora più profondo.

Una volta che tutto è pronto, è il momento di assemblare la bustina da bagno, se hai una borsa a rete per questo scopo o una pallina da tè, anche quelle funzionerebbero meravigliosamente. Altrimenti appoggia semplicemente il filtro del caffè su una superficie piana, metti 1/2 cucchiaino di ciascuna erba e il sale al centro, raccogli insieme le parti esterne per creare una piccola sacca e usa l’elastico per tenerlo chiuso. Se stai usando i sali di Epsom, ti consigliamo di aggiungerli separatamente.

Quando sei pronto per fare il bagno, prendi molta acqua tiepida e aggiungi la bustina mentre la vasca si riempie. Sentiti libero di aggiungere anche altri ingredienti! Se hai un bagnoschiuma preferito o ti piace il latte di cocco nella vasca da bagno, aggiungili insieme ai sali di Epsom, se li usi.

Finisci di riempire la vasca prima di continuare. Quando l’acqua ha raggiunto il livello preferito e l’acqua è chiusa, è il momento di incantare il bagno. Muovi la mano nell’acqua in cerchi in senso orario e immagina che il bagno venga infuso con il potere di attirare più riposo e relax nella tua vita. Mentre lo fai, pronuncia il seguente incantesimo.

“Invoco per me la tranquillità,

Possa il mio tempo essere libero,

Ho lanciato questo incantesimo dai cerchi tre. “

Se vuoi, puoi recitare l’incantesimo più volte invece di dirlo una sola volta; spesso la ripetizione può aiutare a raccogliere l’energia necessaria per alimentare brevi incantesimi.

Quando hai finito è il momento di goderti il ​​bagno e lasciare che la magia si infonda nella tua energia! Rilassati e goditi il ​​tuo vino, leggi un libro o magari semplicemente ascolta la tua musica mentre il tuo incantesimo porta più riposo e relax a modo tuo!

Cosa c’è di Stoccolma che genera così tanta creatività?

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Kamohelo Khoaripe musicista Sud Africa. Foto Ulf Leide
Stoccolma è considerata uno dei luoghi più innovativi al mondo, con il maggior numero di unicorni pro capite dopo la Silicon Valley. E ‘anche una delle migliori città quando si tratta di attirare talenti internazionali s. In Europa, Stoccolma è tra le prime tre destinazioni per la generazione Z ed è una città altrettanto attraente per gli investitori. Quindi cosa c’è nel DNA di Stoccolma che favorisce questa atmosfera innovativa?

In un nuovo video documentario di Stoccolma, cerchiamo il segreto dietro la creatività di Stoccolma, parlando con tre talenti internazionali che chiamano Stoccolma la loro nuova città natale:

Iolanda Leite, trasferitasi da Lisbona a Stoccolma con la sua famiglia nel 2016 per intraprendere la carriera di Assistant Professor presso il Royal Institute of Technology (KTH), sviluppando robot sociali;

Rorey Jones, che 9 anni fa ha scambiato Atlanta con Stoccolma per lavorare a Spotify. Ora vive qui con il suo cane Knut combinando una vivace vita cittadina con la natura; e

Kamohelo Khoaripe, che ha lasciato la sua città natale Johannesburg per Stoccolma cinque anni fa per intraprendere una carriera nella musica. Ora è il front man di Off The Meds, un quartetto DJ / Rap elettronico sperimentale.

Attraverso le loro storie, la ricetta della creatività di Stoccolma inizia a manifestarsi e la formula segreta di Stoccolma viene rivelata.

Guarda il video!

– I talenti internazionali ci hanno raccontato la loro storia su Stoccolma. Una storia su un luogo abbastanza diverso da qualsiasi altra parte della terra. Dove i nostri valori, in combinazione con un’atmosfera aperta e una società equa, consentono loro di essere creativi. È qualcosa che la nostra città deve davvero amare e proteggere , afferma Anna König Jerlmyr, sindaco di Stoccolma.

Sei curioso di sapere cosa potrebbe fare Stoccolma alla tua creatività? Benvenuto nel nostro nuovo sito web dove i locali di Stoccolma ti aiutano a immaginare e pianificare meglio una visita o una vita futura a Stoccolma. Vai su visitstockholm.com !

Sul film
Il film è prodotto per Visit Stockholm e Invest Stockholm da Garbergs e Tarot Pictures. Il regista è Gustav Bondeson, Tarot Pictures. L’intero film è girato a Stoccolma durante il mese di dicembre.

Cosa succede al nostro corpo quando ci innamoriamo?

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 La primavera è alle porte e con il risveglio della natura anche il nostro organismo rinasce e “si riattiva”. La primavera è, infatti, la stagione degli amori e di tutte quelle strane sensazioni che proviamo quando ci innamoriamo. Ma che cosa succede realmente al nostro corpo quando sentiamo le farfalle nello stomaco?

L’adrenalina, ormone stimolante dello stress, è la principale responsabile dei cambiamenti all’interno del nostro corpo. Questo ormone provoca un aumento del consumo di ossigeno che, a sua volta, stimola unaumento del battito cardiacosudorazione delle mani e pupille dilatate. Inoltre, ha un impatto sullo stomaco, l’organo più sensibile del corpo, che a causa dei cambiamenti ormonali formicola, facendo percepire le classiche farfalle nello stomaco.

La dopamina o ormone della felicità, poi genera una forte euforia e un incremento dell’energia e insonnia. Ed è questo uno dei motivi per cui gli innamorati non riescono a fare a meno di pensare alla propria anima gemella giorno e notte!

Infine, l’oxitocina, l’ormone delle coccole, promuove le interazioni sociali, spingendo le persone innamorate a ricercare costantemente il contatto fisico. Anche un altro ormone, la vasopressina è responsabile di reazioni simili, poiché provoca un aumento della pressione dei vasi sanguigni con conseguente arrossamento del viso e aumento del desiderio sessuale.

Di Frank Turner, Scott Hutchinson e la salute mentale

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Questo è un post scritto di getto, come non ne facevo da secoli, e che non rileggerò.
Ieri è morto il cantante dei Frightened Rabbit. Band che è sempre un po’ stata ai margini e che nessuno conosceva così bene. Ricordo che una volta parlavamo di nomi delle band indie con il mio ex e lui non li conosceva e trovava buffo il nome. Vedere il nome di Scott in trending topic su Twitter mi ha fatto una strana sensazione. In questi giorni sembra che la salute mentale sia una cosa che è cura di ogni persona sui social, almeno nella mia bolla. Invece poi esci e non è così. In UK sta sfiorando la prima posizione un album bellissimo di un cantante davvero molto bravo: Frank Turner. Frank è un’altra persona che ha parlato nell’album della sua terapia cognitivo comportamentale, delle sue dipendenze, degli up, dei down. Frank è un ragazzo che sorride e che mette un’energia della madonna nei suoi live: il fatto che molti pensino che da depressi o se si ha un problema mentale si debba apparire come giullari sotto acidi o come tristoni inenarrabili è un’altra cazzata bella grossa. Be more kind è un album che secondo me può servire moltissimo anche a chi non conosce bene cosa possa essere avere a che fare persone con problemi di depressione, e ve lo consiglio.

Ma, vi ho detto, non è un cazzo facile. Se già per altre battaglie della società civile è difficile far capire alle persone che stanno pensando merda, quando si hanno in mezzo condizioni biologiche il quoziente intellettivo delle controparti va a finire a valori difficilmente referibili sull’asse reale.

Vi spiego: nel linguaggio comune, che è lo specchio della società, oltre ai soliti insulti sessisti e omofobi ci sono sempre stati il “sei pazzo” o “è un cancro”. La seconda poi è un po’ in disuso, ma se pensate in alcune parti si augurano ancora i cancheri qua e là al posto dei vaffanculo. Tipo, in Olanda è molto diffuso, e anche in Romagna mi pare. Il guardare uno, etichettare qualcuno come pazzo viene visto ancora come una cosa normalissima, quasi senza problemi di sorta.

Negli anni passati però chi moriva di cancro o chi aveva un cancro lo teneva nascosto perché si vergognava. Di cosa? direte. Eh, esatto. Cosa c’è da vergognarsi di una condizione clinica che è dettata da una serie di interazioni geniche e ambientali. Già. E invece tanta gente lo teneva nascosto ancora: ad esempio mio padre è morto tre anni fa, e ancora la moglie in giro diceva che è morto, a 63 anni, per il diabete. Sinceramente è una donna molto anziana e dalla scarsa cultura: capisco perché lo faccia. Non è un Rolling Stones che dice di aver avuto un cancro e buona lì o un Silvio che si vantava addirittura di averlo sconfitto.

Poi ci sono ad esempio i genitori di una mia amica, che quando è stata ricoverata per depressione perché non ce la faceva proprio più si sono vergognati tantissimo. Genitori che le hanno anche detto “Non ti ricoverare più, perché sennò noi stiamo male”. E tra qualche anno secondo me anche in questo diremo “E di cosa si sono vergognati? E’ una condizione clinica dettata da interazioni geniche e ambientali”. Già.

Capite che vedere le malattie mentali come capriccio o disturbo di serie B fa emergere alcune cose: che molti sono ancora gretti, ignoranti, con una cultura molto bassa, poco aperti e rispettosi. Oppure molti hanno paura di quello che stanno vivendo loro, e quindi tu siccome impersonifichi il loro problema ti attaccano. Oppure sono delle merde e basta, dai.

Ero un po’ in dubbio se scrivere questo post o meno. Poi ho pensato che scoprire il fianco a teste di cazzo che potrebbero goderci a leggere dei miei momenti brutti passati è un danno minore rispetto a quello che potrebbe essere il sollievo per qualcuno per cui soffre il leggere queste righe. Io e molti altri stiamo facendo e abbiamo fatto un percorso abbastanza pesante e complesso, di cui non dobbiamo vergognarci (mi sembra molto dire di dire che bisogna andarne orgogliosi)

Credo che la cosa più carina e più giusta che mi ha detto un’altra donna che ha avuto problemi, che ha appena perso un amico importante e che è molto attiva nell’abbattere lo stigma è stata “Be kind to yourself. You have nothing to be shameful of! And you are 100% not alone in these feelings”.

Se tu hai bisogno, in questo momento, sappi che questa frase calza anche per te.

Quella che tutti chiamano depressione (e che mi fa incazzare tantissimo) è quel periodo di magari 3-4 giorni di tristezzina perché hai scazzo che le cose non girano come vuoi. O piove e a te garba tantissimo il caldo. Quella non è depressione. Si è giustamente scartavetrato i coglioni ad una traduzione di una frase di un giocatore juventino (che poi non ho più verificato fosse vera o meno, ma se fosse stata vera era da prendere a martellate su ogni parte del corpo) che un certo arbitraggio sarebbe stato come uno stupro. Ebbene: è un abuso di entrambe le cose.

Ragazzi, la depressione fa schifo. E nessuno vuole essere depresso. E’ una malattia. E come tutte le malattie quello che funziona per me, non funziona per te, e non funziona per lei. Ma magari funziona per tuo zio.

C’è una cosa che ho letto nei commenti di un mio contatto facebook (che ha risposto poi molto bene) che recita la solita frase fatta che contiene il “non capisco, la vita è un dono”. Mi pare poi che sia stato detto che per qualcuno che sta male non è così.

Sebbene faccia ormai un po’ schifo a tutti il cattolicesimo diciamo che dipende da questo, la visione del “dono”. Non trovo il fatto che il prodotto di due gameti sia da considerare un dono. Non abbiamo chiesto noi di essere messi al mondo. Non capisco quei genitori che reputino che i figli debbano essergli riconoscenti per averli generati infatti. Dovete capire che nella vita è davvero tutto relativo, e che quindi i giudizi nella maggior parte delle volte dovreste ficcarveli ove meglio vi aggrada.

Da sopravvissuta di un cancro ho sempre avuto gente che mi dava pacche sulle spalle enormi, mi ha detto di essere stata ganza, coraggiosa. Da battagliante contro la depressione nulla: anzi mi hanno scaricato tutti come un ferrovecchio. Quei tutti erano delle merde, ovviamente. Ma mica posso ringraziare la mia condizione clinica per essermi resa conto che fossero così: anzi mi sono chiesta per diverso tempo, prima che applicassi quel be more kind, cosa avessi io di sbagliato per avere a che fare con delle merde. Perché dai, una può capitare: ma quando hai una serie di discreti stronzi inizia ad essere patologico anche se si parla del tuo intestino solamente.

Cosa potete fare per essere persone migliori? Tutti possiamo essere persone migliori, ma dobbiamo volerlo. Non dobbiamo aspirare chissà a cosa, ma dobbiamo aprirci agli altri. Se qualcuno ti dice che non sta bene, ed è tuo amico, non devi dirgli che passerà. Gli diresti che passerà se ti dicesse che ha una massa nei polmoni? Puoi chiedergli cosa puoi fare per lui. Normalmente una persona che ha davvero problemi minimizzerà. Dovete avere pazienza. E ascoltare. Ascoltare è l’unica cosa che non farà danni ma aiuterà. Ascoltate. Non date giudizi. Ascoltate tantissimo.
Quando mi sono avvicinata per ben due volte al gesto di Scott non c’era persona esterna che mi potesse far qualcosa. Sei in una condizione talmente alienata e alimentata dal tuo dolore che sei tu e il Mostro. Non c’è altro per davvero. Per quello in alcuni casi la terapia serve: appena cogli segnali metti strategie in atto per svicolare. Altre volte non serve a un cazzo. A volte servono i farmaci perché è chimica del cervello. Altre volte entrambe. Altre volte va tutto bene e poi ti ritrovi a pensare che staresti meglio appeso come un prosciutto a Langhirano. Non è divertente. E’ brutto. Poi la psichiatria non interessa a big pharma: ci sono molecole vecchissime e ancora costosissime, e tutti invece pensano che il business siano i vaccini quando una compressa di Tavor ti costa come una esavalente. Sono questi i momenti che mi vengono in mente i miei prof delle medie che a volte dicevano “beati voi che nun capite un cazzo”. Lo penso anche io di molta gente, eh. Li invidio che vivano così alienati nelle loro cose e nel loro mondo di marshmellows.

Per favore, fate in modo che lo stigma della salute mentale diventi una cosa superata. Deve partire da voi però. Serve che ognuno non abbassi lo sguardo, che non lasci che gli altri facciano i bulletti. Dovete dire con gentilezza che gli altri che non capiscono stanno facendo una cagata. Solo così cambierà qualcosa.
E se gli altri non vogliono capire abbiano almeno il buon senso di stare zitti. Tutto prima o poi gira e ti colpisce nelle tue cose più care. E dopo sarai ripagato dal come hai vissuto.

Lochiazioni: guida a neomamme e a gente che non ne sa

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Se pensavate che gli ultimi due mesi di gravidanza fossero il male è perché non sapevate ancora del mese post parto. Ora per la bellissima serie medical quello-che-gli-altri-non-scrivono-con-completezza (qui un ex cursus del parto) vi scrivo con semplicità cosa siano le lochiazioni e perché non dovreste rompere i coglioni a una puerpera (altrimenti rischiate, vi mando un anatema io adesso, secchezza vaginale per otto mesi o ammosciamenti vari mentre vi si spoglia una più bòna di Belen innanzi a voi).

Wikipedia dice:

La lochiazione è un processo fisiologico che si verifica dopo il parto e che consiste nella fuoriuscita dalle labbra vaginali di liquidi fetali e residui placentari ed epiteliali, detti lochi.

I lochi devono essere inodori, in prossimità del parto di colore scuro-grigiastro fino a diventare trasparenti. Se maleodoranti indicano una sospetta endometrite le cui conseguenze dipendono dalla specie presa in esame. Nella donna l’endometrite porta a un’alterazione sistemica dell’organismo, se non curata è mortale.

 

Fran dice:

ahahaha, stocazzo.

Dunque. Anche io ho studiato medicina e la parte sopra è vera. Ossia sul libro è verissima. Poi capita a te in mezzo le gambe, sebbene abbia già avuto in precedenza altre lochiazioni post intervento all’utero, e ti accorgi che quello che è scritto in teoria è una passeggiata. In teoria. Ecco.

Vediamo di spiegarla a un pubblico maschile: l’utero era diventato da un palloncino a una cosa uguale allo stomaco di un tirannosauro. Deve tirare via tutto il tessuto. Se già le mestruazioni portano via tutto quel tessuto facendo sanguinare poco e male fuori (o anche, porcatroia come a me, parecchio come se per i primi due giorni uno sta lì a sgozzare e poi rendere halal nelle carni 12 conigli grossi come Bugs Bunny al giorno) qui la cosa dura sei settimane. E sanguini da una parte in cui sono appena passati circa 35 cm di cranio di una splendida creaturina. Guardate la testa del bimbo. Pensate ai primi due giorni di mestruazione, metteteci in mezzo molti pezzi di tessuto in più come se fegatini di pollo si spiaccicassero nel water e moltiplicatelo per oltre un mese. Ora zittissimi e diventate settanta volte più gentili di quanto non lo siete già normalmente con qualcuno provato dal parto.

Vediamo di spiegarla alle donne: ragazze, ecco. Sì: durano tutte le sei settimane. E a volte non è neppure vero che virano verso il giallo e poi il bianco e poi ciao. Ecco detto questo andiamo con comodo e ordine, considerando che tutte siamo diverse per la biologia bla bla bla. (potete saltare fino al prossimo neretto se non volete tutta la narrazione)

Mia esperienza: ho partorito intorno alle 4, poi fino alle 7:30 ho fatto colazione, mi hanno ricucito (eh, sebbene non abbia avuto la temutissima episiotomia, che qua in Italia va ancora tanto di moda e invece in Austria, paese inventore, non si fa più mi è toccato avendo partorito una discreta bimba di 3,8kg e 55cm con 35cm di cranio) e poi mi sono rimessa in piedi per spingere nella culletta la prole fino alla camera. Lì per lì avevo solo la sciatica scassata come una novantacinquenne dato dagli ultimi 3 mesi di gravidanza, quindi camminavo come dr House attaccato al carrello della spesa ma ero ancora bombata di antidolorifico causa epidurale. Il problema è stato ore dopo. Chi ha partorito potrà dirvi che nei primi giorni post parto fare la pipì viene pensata come disciplina olimpica. Non vi dico il defecare, invece. Io una settimana dal parto ho avuto un blocco intestinale e vi dico solo che mi raccomando bombatevi di roba che vi ammorbidisce l’alveo oppure è la cosa più orrenda del mondo che vi farà pensare che era meglio partorire. Fidatevi. Dicevo: se pre parto abbiamo paura che lì sotto il pavimento pelvico venga giù come se ci passi un terremoto dell’12esimo grado della scala Richter è perché nessuno ci dice quanto sia difficile far pipì. Mingere per la settimana post parto non diventa difficile perché sarà abbastanza complesso sedersi e smadonnerete se le toilette sono rasoterra e non a una altezza discreta (beh, che vi mento a fare. Anche quello. Io sono 182cm e non avevo mai notato prima quanto stecazzo di tazze del cesso sono basse. Porcotutto). Ma soprattutto vi metterete lì sopra e direte: “beh, non fluisce?”.

Ecco.

Non so come dirvelo: pipì nella doccia. Eh. O nel bidet, nei giorni successivi. Che io in Austria non avevo e al ritorno ho quasi limonato per la gioia. Ma ecco: pipì nella doccia, con anche acqua tiepida non proprio sulle labbra, ma sul monte di venere e le cosce a rilassare la parte. Oh: o questo o vi tocca il catetere. In ospedale dopo sei ore che non la facevo mi hanno detto così e allora doccia. Due giorni dopo il meraviglioso infermiere maschio al mio “non riesco proprio a farla” mi ha guardato con dolcezza e ha detto “non prendertela: è una questione psicologica. Buttaci un po’ di acqua calda sulla parte anche con un bicchiere dopo che ti siedi”. Ed ecco: funziona. Non preoccupatevi per addominali e pavimento pelvico. Tornano, con calma. Per le sei settimane non dovete fare un kaiser, se non sollevare i vostri bimbi. Come mi disse la fisioterapista post parto (sì, in Austria c’è): mettetevi sulla pancia (almeno fino a quando le vostre tette ve lo permettono) e tenete un cuscino proprio sulla pancia e spiaggiatevici sopra più che potete. Aiuterete sia gli addominali che la vostra parte a spremere tutto. Poi potete riprendere gli esercizi di kegel ma occhio: io li ho ripresi a 7 settimane dopo e mi son tornate delle lochiazioni. Lì per lì mi sono detta “maccazz, ma non finiscono più?”. Beh, pure io: stavo rispremendo la parte, è normale esca ancora roba. Sono riuscite cose sierose anche alla prima corsetta che ho fatto l’altroieri, ed ho partorito a Novembre. Per dirvi come vanno le cose. Poi se le vostre ovaie sono ferme grazie all’allattamento, ma ve lo diranno nella visita post parto, tanto il temuto capoparto vi verrà 40gg dopo la sparizione del latte. Ci risentiamo quindi a Maggio, credo, per aggiornamenti su quello.

Ma come sono davvero le lochiazioni? Parecchi stracci di tessuto sanguigno, che magari alcune di voi hanno avuto alcune volte durante le mestruazioni più brutte, con sangue bello fibroso e che quindi se vi va a finire fuori tipo sulle mutande vi resta il marchio di zorro che boh, ci vogliono litri di candeggina. Ad alcune durano poco, ma non fidatevi di chi dice 3-5gg. A me sono durate 41 giorni, più 6 di sierose. Al terzo giorno in ospedale, usando gli assorbenti adatti allo scopo che sono diversi da quelli normali lì in basso avevo la sensazione che la pelle stesse andando a fuoco. Proprio a livello piaghe d’egitto o se avessi fatto un bagno nell’alcool etilico. Non mi vergogno a dire che appena uscita ho mandato madre all’Ikea a comprare un buon numero di asciugamani bianchi da un euro, li ho tagliati e usati come assorbenti, che poi ho messo in lavatrice dopo ammolli vari (e che ora sono finiti nell’organico). Dopo 3 giorni la situazione era confortevole, fresca e asciutta.

Altra cosa abbastanza meh: mi dissero di lavare con solo acqua e solo una volta al giorno con detergenti neutri. Io invece vi dico che se non avessi usato il Ginexid, che già adopro con le mestruazioni, dopo una settimana la questione infiammazione a causa dello stare lì con questi depositi si era iniziata a fare piuttosto importante. Una mia amica invece per diminuire il fastidio nella zona, anche perché se ti toccano punti c’è, diedero il Sollival.

L’odore c’è normalmente, certo se vira verso il marcino significa che c’è infezione ma che ve lo dico a fare. Ma anche l’odore tipico non è buonissimo. Diciamo intenso odore di lievito. Diciamo che le mestruazioni al confronto sono inodori. Diciamo pane ai cinque cereali fatto con molto lievito a cui è stato spalmato lardo lasciato in una stanza a 50 gradi per una settimana.

Vi ricordo che non si possono fare lavande né usare tamponi. Quindi spero che le soluzioni anche da McGyver usate da me possano aiutare qualcuna. Quelle che ho descritto sono situazioni fisiologiche (tranne il blocco all’intestino ehm), e quindi normalissime: se avete dolori, febbre, grosse perdite e cattivissimi odori invece correte in pronto soccorso ginecologico, mi raccomando.

Per il resto as usual ci sono i commenti. In bocca al lupo.

Cosa succede in travaglio (aka le contrazioni, il tappo mucoso, il dolore)

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Faccio questo post perché è la cosa che ho googlato di più nell’ultimo mese di gravidanza e sembra che chiunque sia molto pudico (o che voglia dimenticare, o che la propria prole ti assorba così tanto che alla fine non lo scrivi più) riguardo l’argomento e non trovi nessuno, neppure nei forum dove mom to be e novelle mamme si scambiano pareri. Ci sono cose solo tipo “te ne accorgerai” o “al corso preparto ci hanno detto”.

Permettetemi una frase da farvi scolpire nella testa. Respirate, pronte?

La biologia si basa un po’ sulle cose a cazzo ed ogni esperienza è diversa. Ma vi racconto come è stata la mia senza scadere nel è stato facile o è stato difficile.

Ripeto: è la mia esperienza e non so come possa andare ad altre, ma ecco… almeno ve la sto dicendo.

La cosa che ci si chiede di più è saprò riconoscere le contrazioni? Vedete nelle altre pagine web alcune che dicono AH MA TE NE ACCORGERAI. Uhm, ammetto una cosa: io mi sono accorta che fossero contrazioni solo perché c’era questo dolore di pancia continuativo che durava da più di 24 ore e che si stava palesando a intervalli regolari. Quando sono scesa attorno ai cinque minuti e settanta-ottanta secondi di durata sono andata in clinica (che distava 15 minuti di auto, tenete conto anche di questo) e lì l’ostetrica mi ha detto che sono proprio andata nel momento giusto. Il mio pretravaglio, ossia prima di quelle contrazioni lì che sono quelle più efficaci è durato 32 ore. Non lo auguro a nessuna di voi: si arriva sfiancate ed è per quello che secondo me il parto è difficile. Ero di 41 settimane e la sera prima dell’induzione finalmente sono arrivate le contrazioni buone. Che comunque, lo dico a quelle di voi che hanno avuto una colica renale, fanno molto meno male delle coliche renali (ma le coliche renali durano molto meno)

Come consiglio che posso darvi è quello che ho fatto io: non capivo neppure nelle settimane prima del parto se avessi perso il tappo mucoso o meno. L’ho perso 3-4 ore dopo l’inizio delle contrazioni di pretravaglio e a pezzi. Ho fatto tantissime docce (EDWIGE FENECH, SCANSATE!) per lenire il dolore. Ci passavo almeno due contrazioni dentro. E vedevo sti pezzi di tappo venire giù. Tanto muco, non uno schizzettino filamentoso come possono dire altrove. Pezzettoni. Facevo ‘ste docce e pensavo: ma porcotutto cosa ho? il tappo mucoso più grande della storia?

Quando dicono che per il dolore non si può prendere nulla non è del tutto vero: la mia ostetrica (austriaca, sono preparate in fitoterapia) mi aveva dato olio essenziale di lavanda da sniffare e passiflora da prendere per bocca per rilassarmi nei 4 giorni prima del parto e io pensavo non potessero farmi più di tanto e invece mi hanno aiutata parecchio. Più di un qualsiasi paracetamolo che i medici ti fanno schioccare per il dolore (conservatelo per dopo aver partorito: paracetamolo e ibuprofene da 400mg vi serviranno per lenire il dolore, e non rompete e prendetelo giù perché il dolore dopo c’è, specie se come me avevate una bimbina di 55cm e 3,8kg dentro a passarvi per il vostro pertugio).

Come sono le contrazioni? Quando vi dicono che sembra che tirino verso il basso io vi rispondo con boh: io ero lì ma le mie non erano così. Parlo di quelle all’inizio, le ultime 12 ore le ho fatte con l’anestesia e non so dirvi. Posso dire che era un dolore brutto come quando non vai al bagno da una settimana ma a monte spinge diarrea potente e non hai un bagno a disposizione e quindi senti un crampo che ti verrebbe tra lo svenire e il vomitare. Un dolore che vi prende anche un po’ la schiena come dolore da primo giorno di mestruazioni fortissimo (per quello consiglio molte docce, capite?) Chiunque abbia avuto una colite bruttissima o una intossicazione alimentare, o anche dolori mestruali pessimi sa cosa intendo. Vi ripeto il problema è avere questo dolore per ore: vi appisolerete ma vi risveglierà il fastidio e l’unico pensiero sarà ESCI FUORI.

Il dolore poi è soggettivo. Io posso dirvi, ma sono io, che non mi ha fatto troppo male. E non ho urlato per un cazzo. Ma avevo l’epidurale aperta a manetta (grazie ancora alla mia ostetrica, Helena: ti amo), l’induzione anche a base da ossitocina perché dopo le 32 ore di pretravaglio ne ho fatte altre 13 di travaglio visto che la bambina era alta (e ho passato le ultime due ore a muovermi con l’agone peridurale ficcato nella schiena a fare movimenti del bacino tipo hula-hoop per far scendere la creatura in basso) e comunque parlavo tranquillamente con l’allieva ostetrica (anche troppo, credo fosse la anestesia che mi faceva sembrare una cocainomane) anche se a un certo punto le ho vomitato quasi addosso e lei a dirmi “non preoccuparti, per noi è un buon segno!”

(Poi ok, hanno aperto pure di più il rubinetto dell’anestesia e io per dare le ultime spinte ho sentito solo lievi contrazioncine da assecondare con le spinte. Ma mi ha aiutato tantissimo la mia ostetrica. Davvero.)

Mi hanno fatto fare appena arrivata e prima del rendezvous con l’anestesista anche un bagno caldo. Ammetto che non mi è servito a molto, ma ha accelerato un po’ le contrazioni. Ma lì per lì ho pensato: me lo fanno fare perché aspettano il cambio turno delle 18.

Posso consigliarvi solo alcune cose da tenere in mente (poi se altre mamme vogliono continuare nei commenti son benvenute: anzi, scrivete pure le vostre esperienze perché almeno non facciamo sentire altre preoccupate):

  • State tranquille, oppure anche angosciatevi: tanto tutte le esperienze sono diverse. Pensate solo ad arrivare in ospedale nel giusto momento: che è quello giusto per voi. Non preoccupatevi a cosa potrebbero pensare.
  • Partorirai con dolore lo dissero nella bibbia. Siamo nel 2018: avete tutto il diritto di non soffrire.
  • Non è vero che dimenticherete il dolore, ma ne vale la pena
  • Fidatevi della vostra ostetrica o ginecologa. Se non vi fidate sarà tutto più difficile. Come se non avrete vicino a voi chi desiderate in quel momento.

Voglio fare foto ai concerti: mi conviene, nel 2017? No.

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JP Cooper - ESNS2017- ph. Francesca Fiorini Mattei

Mi dispiace, ma ho voglia di spezzarvi dei sogni e rusparvi delle aspettative. O perlomeno è uno di quei post come qui ce ne sono molti che è della serie “non fate come me: vivete meglio”.

Adesso vi faccio la versione condensata: ciao, ho ventanni e mi garba tantissimo la musica live e fotografare come te mi piacerebbe moltissimo. Come posso iniziare? Che cosa posso aspettarmi?

Anzitutto la passione che hai è molto bella. Devo dirti una cosa: se hai un gruzzolo da scialare, tempo da perdere e non ti incazzi o offendi facilmente puoi considerare di iniziare il percorso, che comunque ti darà notevoli problemi nel cammino. Se no: stanne fuori che si vive meglio, giuro.

Ti parlo di me: ho iniziato a fotografare perché amica che lo faceva per la mia ezine è rimasta incinta, e da lì si è dileguata. Pensai “e ora chi mi fa le foto?”. Perché, come dire: le webzine non possono pagare, è difficile. Non pagano le testate giornalistiche e le cartacee millantando problemi di budget, se vi dico le spese che ho io in un anno per tenere un blog e una webzine capirete che spesso è già tanto non chiedere soldi in giro. No: sulla internet non è tutto gratis e se è gratis significa che non ti stanno facendo un favore, ma stanno rivendendo te come prodotto.

Ho continuato perché la mia depressione mi aveva reso non solo un vegetale, non solo i miei attacchi di panico mi creavano problemi anche per uscire a comprare il pane: ma proprio perché in depressione le tue capacità psicofisiche vanno a schifìo. Focalizzarmi sul creare delle immagini e cercare di tenermi pronta per i primi dieci minuti di concerto cercando di fare cose buone mi ha aiutato a gestire ansia e tante altre problematiche. Mi ci son curata, posso dire. Quindi anche quando ci ho rimesso soldi o sono andata a pari tra spese e pagamenti ricevuti ci ho guadagnato in salute. Ma questo è il mio caso: credo di essere l’1% di tutto il mondo, anche perché per fare il fotografo devi avere un po’ di ego ben sviluppato (cosa che a me manca cronicamente)

Che prospettive ci sono ora come ora? Nessuna. Il più grande blog di musica italiano di una piattaforma di nanopublishing sta tagliando i collaboratori. Molte testate web tagliano su cose che fanno molti meno ingressi del pubblicare uno screenshot del culo di Belen da instagram. Altre testate musicali ti dicono “non c’è budget” e quindi loro sì hanno incassi pubblicitari e tutto: ma in caso preferiscono pagare (poco) gli articolisti e dire ai fotografi che non c’è budget (e se ti rifiuti c’è la “foto del fan” via social e in caso sennò una foto mandata dall’ufficio stampa. Sei un numero, non sei considerato un artista come in altri Paesi)

Vedi qui: sopra RS versione italiana usa una foto posata da “ufficio stampa”, sotto RS internazionale paga una foto al fotografo e mette correttamente i credits al professionista (da un post di ieri di un collega fotografo italiano)

Non che in altri Paesi vada meglio: da questa estate Spin magazine in primis inizia ad usare gli screenshot dei webcast dei festival (ottimo quando una band ha delle foto policy -ne parleremo dopo- da paranoia, meno buono quando pur di non pagarti la foto facciano codesta cosa), e in posti dove si pagava -leggi Olanda- ormai il rapporto pagati-nonpagati è passato da 10-3 a 10-8. Devo aprire un’altra digressione: nessun committente italiano mi ha mai pagata. Ho avuto soldi olandesi, americani, austriaci, tedeschi. Mai italiani. Non solo perché in Italia ormai ci sono colleghi bravissimi e professionali che vengono considerati il top e ormai si preferisce andare sul sicuro (anche se, non lo dico contro il collega ma contro la scelta delle redazioni, vedere le foto della stessa persona in 70 diversi articoli per un live è un po’ una scelta non vincente, ma qui entriamo in un discorso di etica giornalistica che toccherò un altro giorno, visto che ho strumenti per giudicare anche quello essendo stata prima in quel gruppo e poi fotografa) ma anche perché, vedi il raffronto tra le edizioni di RS con la notizia su Liam sopra, se è possibile non ti pagano.

Per la stessa cosa: sono stata fortunata a fare esperienza estera ed avere committenti esteri. Ma non saprei consigliarvi come fare visto che sono state botte di fortuna, passaparola, essere al momento giusto nel posto giusto. Ma in Italia mi butta malissimo, eh.

Un’altra brutta pratica che si sta consolidando negli ultimi due anni è l’approvazione lista fotografi la mattina per la sera. Credo sia orrenda anche per i poveri PR delle booking agency che debbano giostrarsi con questa cosa: in pratica band X si esibisce martedì alle 21 a Milano. L’agenzia di concerti alle 11 riceve la lista dei fotografi che il management (o l’etichetta) decide di approvare e per quell’ora ti arriva la notizia che alle 20 devi essere lì per fotografare. Vi ricordo che in alcuni casi sei scortato verso l’uscita dopo aver fotografato le prime tre canzoni (o anche meno). Una volta mi è capitata questa conferma la mattina per la sera, con sotto la postilla “dopo la terza la band ha detto raus“.

Tutte queste considerazioni sono al netto delle incazzature tecniche: spesso non ti viene detto che non c’è spazio per fotografare, spesso le persone in prima fila ti mandano a cagare perché “gli stai davanti” (l’anno scorso a Festareggio una vecchia mi ha dato un’ombrellata nella schiena a tal riguardo), spesso i tecnici al mixer ti mandano affanculo perché *loro* stanno lavorando e non vogliono che ti avvicini alle apparecchiature (ma loro ti stanno spintonando e con te la tua attrezzatura che non è che costa meno), spesso non ti dicono che c’è un contratto o da dove ti manderanno a fare le foto, o un artista ti butta addosso alla macchina dell’acqua, o ti sputa, o scende nel pit e ti ammolla un paio di pugni (ho dato tutti e tre). Può capitare benissimo che fotografi benissimo solo il culo di un artista per le tre canzoni consentite, o che nelle prime tre canzoni ci sono le luci da caro estinto e poi improvvisamente delle luci così smarmellate che riesci a vedere anche dalla 20esima fila i punti neri del batterista.

Questo paragrafo sopra sono considerazioni di scazzo minore: tolta la storia dei contratti che sei costretto a firmare. Qui sono un po’ cazzi e la situazione è al limite del LOL. Spiego: credo fosse il 2014 e fotografo un artista in due Paesi differenti, uno sono i Paesi Bassi e l’altro è la Serbia. Nel secondo il management, con un po’ di imbarazzo del team del festival, ci prospetta un contratto che non è poi così cattivo… ma che in pratica ti proibisce soprattutto la vendita della foto per merchandize e di venderla a testate diverse da quella per cui sei accreditato al festival. Questa è la formula base dei contratti, assieme a piccole paranoie come “non usarle nei social media”. Il brutto è quando molti se ne escono con: a) tutti i diritti sono i miei b) carichi le foto che hai fatto sul mio server e poi vediamo, ché se mi piacciono poi le uso pure e a te non do un soldo c) se qualcosa non va ti posso togliere la SD card, gné gné d) contratti come questo dei Guns’n’Roses.

L’unico Paese dove si è fatto qualcosa contro questo scandalo dei diritti rubati ai fotografi è stata la Norvegia: si sono messi d’accordo e hanno detto “assì? ora non viene più nessuno a fotografare e col cazzo che hai un evento coperto da qualcuno. Puppa”. Essendo così corpo unico l’han spuntata. Non vorrei dire ma credo che in altri posti con la cultura del poter fregare qualcunaltro non riusciremo mai a farlo, visto che c’è qualche deficiente che si crede sempre più furbo degli altri e non ha voglia di lottare per non essere zerbinato.

Capite quindi che a molte testate conviene più una foto *dal web*: non pagano fotografo, non hanno cazzi per i contratti, scelgono le condizioni di luce migliori, beccano circa 100 condivisioni social in più perché la persona che viene scelta con la sua foto fatta dal telefonino, poi tanto ormai quando mandate le foto anche in redazione ti croppano i crediti, te la piallano con dei filtri, non hanno rispetto per quello che hai fatto… e stranamente anche quando mandi 5 foto da scegliere sceglieranno sempre la più brutta.

L’anno scorso una ragazza, già conosciuta a dei live, vedendo con chi collaboravo mi disse “ah, posso collaborare con te? perché *webzine a cui danno molte anteprime* oltre a non pagarmi, quando sono andata a talfestival e ho avuto problemi con la fotocamera mi ha anche trattata malissimo!”. Quando le ho detto che per Lost in Groove non c’erano problemi, anche se pure lì non abbiamo fondi (vedi sopra), ma se le serviva per esperienza e finché se la sentiva di collaborare poteva farlo comodamente e i pass per averli non c’erano problemi mi rispose: “ah ma no, ma chi la conosce?”. Evvabè.

Non fate come lei, tornando a bomba al topic del post: piuttosto datevi alla tassidermia. Secondo me da maggiori soddisfazioni.

[ho omesso dati, fatti, nomi e scazzi vari. Ne avrei da dire, ma qui ci leggono tutti e fa troppo caldo per litigare]

Brescia Photo Festival 2017: Incontri con i fotografi

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Comunicato stampa

In occasione del Brescia Photo Festival
l’opportunità di un contatto diretto con i grandi maestri della fotografia
8 conferenze
1 workshop esclusivo

Per un Festival condivisione, diffuso in città.


Il festival prevede due sedi principali, il Museo di Santa Giulia e il MO.CA. dove saranno radunate le grandi mostre. Un ruolo importante avrà anche il “Il Festival in città” con un ricco programma di esposizioni nelle gallerie e in altri spazi privati della città. In questo contesto non potevano mancare gli incontri con i grandi fotografi, anch’essi diffusi su tutta la città.

Ulteriori informazioni ed immagini: www.studioeseci.net

CONFERENZE CON I FOTOGRAFI

MERCOLEDÌ 8 MARZO PRESSO MO.CA. – VIA MORETTO 78, BRESCIA
FRANCESCO CITO – 18:00
Francesco Cito, è nato a Napoli il 5 maggio 1949, interrotti gli studi si trasferisce a Londra nel 1972 per dedicarsi alla fotografia. L’inizio in campo fotografico avviene con l’assunzione da parte di un settimanale di musica pop-rock (Radio Guide mag.). Esplorando l’Inghilterra fotografa i concerti e vari personaggi del mondo della musica leggera. In seguito, divenuto fotografo free-lance, inizia a collaborare con The Sunday Times, che gli dedica la prima copertina per il reportage “La Mattanza”. Successivamente collabora anche con L’Observer mag.

GIOVEDÌ 8 MARZO – PRESSO AUDITORIUM SANTA GIULIA – VIA PIAMARTA 4, BRESCIA
JASON SCHMIDT – 21:00 -ENGLISH
Jason Schmidt è un fotografo americano, noto per i suoi ritratti di artisti e personaggi del mondo della cultura. Durante gli ultimi vent’anni Jason Schmidt ha perseguito un ambizioso progetto fotografico, ritraendo oltre cinquecento tra i più importanti artisti internazionali a lui contemporanei. La maggior parte delle sue fotografie sono conservate nella raccolta “Artists” che include un ampio ventaglio di ritratti di artisti quali John Baldassarri, Maurizio Cattelan, ed emergenti come Ryan Trecartin e Servane Mary.

VENERDÌ 10 MARZO – PRESSO AUDITORIUM SANTA GIULIA, VIA PIAMARTA 4, BRESCIA
MONIKA BULAJ – 21:00
Monika Bulaj è nata in Polonia dove ha studiato filologia polacca all’Università di Varsavia, si è stabilita in Italia dal 1993. Nel 1985 ha cominciato a fare le sue prime ricerche in Polonia sulle minoranze etniche e religiose e in particolare sui Lemki, la memoria ebraica e gli zingari. Ha poi spostato il suo campo di ricerca nell’Europa orientale, nel Caucaso, in Medio Oriente, in Africa settentrionale, nell’altipiano iranico, in Asia centrale e in Russia. Nel 2014 ha ricevuto il Premio Nazionale Nonviolenza per la sua attività di fotografa, reporter e documentarista, capace di mettere in luce l’umanità esistente nei confini più nascosti eppure evidenti della terra.

SABATO 11 MARZO, PRESSO MO.CA. – VIA MORETTO 78, BRESCIA
NINO MIGLIORI – 16:00
Nino Miglioro inizia a fotografare nel 1948, nell’immediato dopoguerra si avvicina al circolo fotografico Bolognese e inaugura un’intensa attività che si svilupperà sempre su differenti paralleli canali di ricerca. Fin dall’inizio il suo operare è ricco di molteplici esplorazioni: sperimentazione, fotografia formalista, realista, muri cioè temi, soggetti, motivi, linee di ricerca che in parte continueranno a caratterizzare il suo lavoro sino ad oggi. Ad una produzione fotografica vicina alla straight Photogaphy affianca infatti, già dal 1948, sperimentazioni come le “Ossidazioni”, i “Pirogrammi”, i “Clichés verres”, che ne fanno uno dei più interessanti autori post Bauhaus della fotografia mondiale. Negli anni cinquanta insieme agli amici Tancredi, Emilio Vedova frequenta il salotto di Peggy Guggenheim a Venezia ed è a quegli incontri che trova sostegno e affinità culturale.

SABATO 11 MARZO, PRESSO MO.CA. – VIA MORETTO 78, BRESCIA
ULIANO LUCAS – 18:00
Noto per aver realizzato per decenni reportage per importanti giornali e riviste italiane, dopo il sessantotto, documenta con ampi servizi la realtà e le contraddizioni del proprio tempo. Sono noti anche i suoi reportage su scenari di guerra: dal Portogallo del dittatore António de Oliveira Salazar alle guerre di liberazione in Africa, dell’Angola alle cruente e spietate guerre jugoslave, con reportage sulle martoriate Mostar nel 1992 e Sarajevo nel 1993.

DOMENICA 12 MARZO, PRESSO MO.CA. – VIA MORETTO 78, BRESCIA
GIANNI BERENGO GARDIN – 16:00
Ha iniziato dal 1954 ad occuparsi di fotografia. Inizia la sua carriera di fotoreporter nel 1965, quando lavora per Il Mondo di Mario Pannunzio. Negli anni a venire collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali come Domus, Epoca, Le Figaro, L’Espresso, Time, Stern.
Il suo modo caratteristico di fotografare, il suo occhio attento al mondo e alle diverse realtà, dall’architettura al paesaggio, alla vita quotidiana, gli hanno decretato il successo internazionale. Molte delle più incisive fotografie pubblicitarie utilizzate negli ultimi cinquant’anni provengono dal suo archivio.
Berengo Gardin ha esposto le sue foto in centinaia di mostre in diverse parti del mondo: il Museum of Modern Art di New York, la George Eastman House di Rochester, la Biblioteca Nazionale di Parigi, gli Incontri Internazionali di Arles, il Mois de la Photo di Parigi, le mostre dei centri commerciali FNAC.

DOMENICA 12 MARZO, PRESSO MO.CA. – VIA MORETTO 78, BRESCIA
FRANCO FONTANA – ORE 18:00
Franco Fontana inizia a fotografare nel 1961. Frequentatore dei “Fotoclub”, la sua attività è prevalentemente amatoriale, anche se svolge ricerche estetiche su vari temi. Molto rilevanti saranno le ricerche dedicate all’espressione astratta del colore, svolte in un periodo in cui l’astrattismo in fotografia era da ricercarsi esclusivamente nel bianco e nero.
Nel 1963 espone alla Terza Biennale Internazionale del Colore a Vienna; l’anno dopo Popular Photography gli pubblica, per la prima volta, un portfolio con testo di Piero Racanicchi. Tiene le prime esposizioni personali nel 1965 a Torino (Società fotografica Subalpina) e nel 1968 a Modena (Galleria della Sala di Cultura). L’esposizione nella città natale segna una svolta nella sua ricerca.
La sua complessa attività e il rilievo internazionale della sua produzione possono essere compendiati in alcune cifre.

E ANCORA…

DURATA: SABATO 11 MARZO – DOMENICA 12 MARZO
PRESSO “LA STANZA DELLE BICICLETTE” – VIA DELLE BATTAGLIE 12, BRESCIA
MONIKA BULAJ – “LA SCRITTURA CREATIVA E NON-FICTION DEL REALE”, WORKSHOP

Mettersi in discussione, con al centro l’attenzione pura, quasi infantile, profondamente intuitiva, alla realtà. La fotografia è per me una questione di impegno, di pratica, di meditazione, di sensibilità e di pazienza. Partire dalla base, dai punti cardinali dell’immagine: il Tempo e lo Spazio, in senso filosofico, visivo e tecnico. Come ritagliare, inquadrare, selezionare il reale, quindi dello Sguardo,
della soggettività. Analisi del vostro portfolio, dei maestri, del mio lavoro. Studiare assieme la drammaturgia, la composizione, il ritmo, le sequenze, i contrappunti, la grafica dei vostri progetti. Verità e mistero nella fotografia. Vostra percezione e sensibilità; vedere la realtà senza trasformarla, senza influenzarla e senza mentire (etica nel reportage, onestà, questioni
morali in post-produzione); evoluzione del reportage; legame del fotoreportage con la scrittura, il cinema, la poesia, il teatro, la narrativa.

MARTEDÌ 14 MARZO, PRESSO LABA – VIA DON GIACOMO VENDER 66, BRESCIA
OLIVIERO TOSCANI – INAUGURAZIONE ANNO ACCADEMICO LABA ORE 11:00

Martedì 14 marzo alle ore 11 nell’aula magna della sede centrale della LABA in via Don G. Vender, 66 a Brescia, verrà conferita la Laurea Honoris Causa a Oliviero Toscani, ospite speciale per la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2016/17.
Ad introdurlo saranno il direttore della LABA Roberto Dolzanelli e il critico d’arte Alberto Mattia Martini.
Oliviero Toscani, celebre per la dirompente e coraggiosa espressività, in alcuni casi anche provocatoria è un artista mai sceso a compromessi, tanto da essere stato oggetto di forti critiche e anche di censura.
Nel 1990 ha ideato e diretto “Colors”, il primo giornale globale al mondo, e nel 1993 ha concepito e diretto Fabrica, centro di ricerca di creatività nella comunicazione moderna.
È cofondatore dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. Ha insegnato comunicazione visiva in svariate università.
Dopo quasi cinque decadi di innovazione editoriale, pubblicità, film e televisione, ora si interessa di creatività della comunicazione applicata ai vari media, producendo, con il suo studio, progetti editoriali, libri, programmi televisivi, mostre ed esposizioni.
Il lavoro di Toscani è stato esposto alla Biennale di Venezia, a San Paolo del Brasile, alla Triennale di Milano e nei musei d’arte moderna e contemporanea di tutto il mondo.

Ma Renzi ce lo catalogate come lifestyle?

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by Francesca Fiorini Mattei, taken with an honor 7

Come ben sapete, visto che oggi si blogga a latere dei social (e non come era una volta che blog primo, poi ci si estendeva) io non sto proprio ancora molto bene. Ma della mia esperienza ne parlerò: credo servirà a molte donne. Passato questo inciso inutile ricordo le parole di mia mamma dalla zona living (ah! che fa più blogger di dire dalla zona di cucina) che diceva “oh, dicono che Renzi oggi abbia aperto un blog”.

In verità non l’ho controllato, anche perché poi questa riflessione dell’aprire un blog nel 2017 sta portando in tutta la ex blogosfera pecorona nel ri togliere la polvere e ri passare dai like al parlare quasi un po’ al vuoto, o al primo commento che arriva, o addirittura a vedersi dover commentare ‘stocazzo di post su facebook o su twitter (ad esempio a me sta succedendo che un manipolo di olandesi del flevoland non abbia capito il mio post scritto in italiano anche dopo la traduzione. Però questo post sta girando tantissimo come una cosa tipica nel nostro immaginario collettivo sull’Olanda e ciò è bene. Posso dire che al di là delle foto ai Muse, ai Kasabian, ai Bastille, a Hozier è il post con più alto engagement straniero pur avendolo scritto in codesta bellissima lingua parlata ancora da moltissime persone, anche se magari non benissimo e non a livelli perfetti. Però ce capimo) e quindi c’è quella piccolissima dispersione di attenzione -visto che io non è che campo facendo la blogger. O perlomeno non solo di un blog- che mi abrade le gonadi in modo non indifferente.

Sì, quanto preferirei fossero ancora sei anni fa, quando c’era la gente che ora è anche mia amica, che faceva i profili e ti incasellava nei posti giusti per gli eventi giusti. Credo che anche per questo siamo diventati amici: ci si capiva. Io qui invece agli eventi di musica che suvvia siamo rimasti 4 morti di fame a bloggare di musica, vedi Fashioncose e non blogger di musica. Capisco che noi magari si avrebbe un appeal tipico dellla linea Derelicte (cit.), ma non è così che funziona, bamboli.

Ma il punto è: voi pr, che spesso non guardate neppure più il mio blog perché non si chiama “I viaggi di Francesca e Rodesindro” o “io in arancione, il topo in rosa: ecco i colori del 2017” o “In forma col tuo pupazzo che ti da un workout dittatoriale” o “Rodesindro vegano, ma io no” come fate, visto che spesso non usate lo stagista che guarda il blog ma algoritmi o accrocchi simili, a catalogare me. Per non parlare che poi non abito a Milano e quindi no non c’è rimborso spese (purciari: il treno per Milano da Parma sono 11,50. Ma non venendo io a Milano per una cosa che mi piace ma per una cosa che possiamo chiamare lavoro, uscire 23 euro vi farebbe fare una bellissima impressione. Ve lo dico.)

Ne parlavamo con degli amici all’evento Honor, e un mio brillante amico mi disse “se proprio devo catalogarti a te metto lifestyle. Noi tutti siamo tech ma te… vedi anche dalle foto e da tutto: tu sei tu, sei proprio una persona a parte”

(story of my life, eh)

Tipo ho avuto una brillante (sempre dopo la mezzanotte su telefonino sono per forza brillanti) conversazione con un mio amico con cui abbiamo avuto diversi episodi che ci hanno unito nella blogosfera ma anche nella radiofonia via web che fu. Mi fa:

  • Ma se devo venderti per robe di viaggio tu che scrivi di musica come faccio
  • Cioé tu vuoi un aiuto da me? Guarda il mio instagram che mannaggialclero non sto due giorni fissa nello stesso luogo
  • Ecco quello va benissimo, e anche le cose che mi dici sul blog
  • Beh, poi ho quella foto in caso al cesso dell’hotel Mercure in cui mi perplimevo per la carenza di privacy che ha like ed engagement simili a una foto di Iggy Pop
  • Ma hai taggato l’hotel e ha risposto? MA VA BENISSIMO. GENIO. MEGLIO DI COSI.

Cioè, voi capite: io non sto esattamente bene, ma neppure voi eh. Non starò qui a fare una prosopopea che se io faccio 20 viaggi di aereo il test della tua borsa sarà molto più veritiero di una fashionblogger (perché ci tengo 14 kg di roba: come faccio a tirare su 14 kg? faccio workout ma non ne bloggo e non taggo da nessuna parte la mia palestra!). Anche perché una volta che ci ho provato sapete cosa mi hanno detto “noi avevamo dei campioni stampa, ma sono andati tutti ai giornalisti. Peccato anche perché la metà non ha scritto nulla”.

Forse avete un problema. E’ solo febbraio, potete rifletterci e imparare.

C’è Elena che mi ha detto che se poi ti esponi la gente ti fa male.

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Ha ragione. Ma non continuare a parlare di me anche qui sopra (pff, facebook? Sopratutto le note instagram) di quello che mi capita è brutto. La gente. La gente è invidiosa anche quando non sa un cazzo ma vede che a fine mese le bollette le paghi tutte. E quindi? Quindi boh, quanto sarebbe bello avere uno pseudonimo come la mia amica Elena. Che non vorrebbe vedermi farmi male, ma allo stesso tempo non è che può far qualcosa.

Cosa devo fare? In questi giorni il medico, madonnadiddio così uguale a Varoufakis che ti viene in mente di parlare di economia non della psichiatria mi ha detto una cosa che va su per giù col mio modo di pensare. “Lei in due anni aveva costruito una casa bellissima, era attenta alle tende, alla luce, a sistemare i fiori, a prendere i mobili… ad arredare la stanza del bambino. Ma non si era resa conto che quella casa non era condonabile neppure a tangenti. Era su una palude”.

Poi ha fatto una pausa celentanoide dicendo.

“Si ripeta che l’ha scampata bella. E’ come se fosse sopravvissuta. E pensi se il bambino avesse dovuto soffrire tutto questo a tre anni”.

Boh, usando la ragione capisci che sì, che è vero. Ma voi che avete avuto un figlio in pancia 3 ,4, 5 mesi…quanto è cambiato un cazzo di tutto per voi? Io mi sarei ripresa il padre di mio figlio anche se mi aveva mollata incinta per una consciuta una settimana prima se era per il bene del mio bimbo. Poi ho scoperto che era solo una cazzo di punta di un iceberg e ho iniziato a corrodermi sulla cosa se potrò davvero essere un minimo felice. Nel senso che chiedo le due o tre cose normali (come quelli che naturalmente figliano e poi leggono di te che stai così e quindi vaffanculo ti unfollowano. Ma ok, fa tutto il karma)

Io oggi sono qui ad aspettare di parlare con una ginecologa da ore. Per sapere se post aborto alla 18esima va bene se succede così. Ma non c’è nessuno. Non c’è nessuno nella sanità come spesso non c’è nessuno quando chiedi fortissimamente di volerti bene. Ma nessuno a volta neppure al massimo dell’altruismo ce la fa.

Quante volte gli ho chiesto di salvarmi prima di prendere il bambino. Quante volte mi ha chiesto “salvarti come?”