La cosa più stramba di Leuven è che il nome italico è Lovanio.

LeuvenQuando nell’ambito del progetto Flanders is a Festival mi hanno dato un template da compilare, chiedendomi anche se avessi allergie o problemi alimentari, mi veniva chiesto anche se avevo preferenze sulle città da visitare nelle Fiandre.

Ammetto di non aver barrato la casella di Leuven: perché non la conoscevo. Anche perché noi italiani non gli vogliamo benissimo, abbiamo tradotto il suo nome in Lovanio.

Ora è famosa per l’Università e per il birrificio Stella Artois, ma  “rimase fino al XIV secolo punto di riferimento di prestigio soprattutto per i tessuti. Un’indicazione sull’importanza di Leuven come centro di manifattura tessile, viene dato dall’aver dato il nome ad un tipo di stoffa in lino

Invece Leuven è molto carina. Mi è stato data anche un’utile pianta della città con dei tips dai residenti e questo ha aumentato il piacere della visita. Anche se mi ha annoiato un po’ la visita del municipio (con le visite guidate mi annoio abbestia: contrappasso da figlia di guidaturistica?) tutto il resto mi è piaciuto molto, compresi i due pranzi che sono riuscita a fare e un bel giro al birrificio Stella Artois. Poi è distante solo 14 km da Bruxelles e quindici minuti circa di treno. Vale perlomeno una visita. E una birra al tavolo.

Gironzolando per Brussel: Manneken Pis e il centro.

Bruxelles ha un fascino tutto particolare dacché unisce gli aspetti tipici della metropoli con quelli delle città più piccole e intime, ricca di angoli e strade che per un momento estraniano il turista dalle vie e piazze più affollate. Fonde poi tutti gli elementi delle città dei Paesi vicini, donando un curioso patchwork a chi la visita per la prima volta.

Perfino la Grand Place, nella sua maestosità e severità e nel suo viavai incessante di persone ha più l’aria di un salotto che di una piazza vera e propria. Passeggiare nel centro di Bruxelles significa non solo ammirare le grandi costruzioni e i monumenti, ma anche visitare botteghe e negozi che sembrano usciti da un racconto di altri tempi: si pensi a certe librerie, così misteriose e che conservano vecchi libri, dischi in vinile, stampe e fotografie, tanto da somigliare più a piccoli musei che a negozi. Per non parlare delle gallerie che collegano una via ad un’altra; e delle viuzze che, pur senza avere lo sfarzo dei grandi monumenti, svelano spesso piccoli e deliziosi angoli, con bar e bistrot dove possiamo gustare una delle ottime birre belghe.

Manneke Pis

Ci sono un paio di simboli della città, di quelli che te la fanno collegare a tutto il resto e alimentano il mercato dei souvenir. Uno è sicuramente la fontana con la statua del Manneken Pis, ossia il bimbo-ragazzino-pischello che minge.
Manneke Pis
Oltre al bimbino, esistono altre due statue che compiono la stessa azione: Jeanneke Pis, la statua della ragazzina che fa pipì (urenda, dai, anche perché il nostro metodo di evacuare liquidi ci porta a metterci in quella posizione a uovo che ricorda sia gli squat in palestra che lo spazzaneve sugli sci), e Zinneke Pis, il cane che fa pipì (quest’ultimo nel Marolles, non fa proprio pipì, nel senso che rispetto agli altri due non è una fontana: fa solo il gesto).

DSC00469.jpgLa leggenda comunque racconta che il Manneken Pis fosse un bambino che avrebbe estinto la miccia di una bomba con cui i nemici volevano ditruggere la città, da cui il simbolo di ribellione e coraggio dei belgi. Il Manneken Pis viene vestito 36 volte all’anno, in date prefissate. A me è capitato di vederlo ignudo nella sua azione, ma potete vedere la versione tourdefrance, la versione impermeabile, e la versione Gay Pride.

E’ curioso, infatti, che il suo guardaroba comprenda oltre ottocento costumi conservati nel museo della Casa del Re sulla Grand Place: sede del museo cittadino/dedicato alla città al terzo piano ha la dressing room del bimbo, con tanto di pezzi davvero notevoli. Il primo abito donato al Manneken Pis fu da parte di Massimiliano-Emanuele di Baviera, governatore generale dei Paesi Bassi spagnoli, poi la collezione come potete vedere si è ampliata di anno in anno: mi pare che però l’unico costume che rappresentasse l’italia era un thristhe Pulcinella, con tanto di appendice beccosa per il Manneke. Mh.

Sol LeWitt in M Leuven

M - Museum Leuven
Sol LeWitt (Hartford, Connecticut 1928) ha tenuto centinaia di personali in musei e gallerie, pubbliche e private, a partire dal 1965. La sua nutrita opera,su due e tre dimensioni, comprende i Wall Drawing (a tutt’oggi ne sono stati eseguiti più di 1100), fotografie e centinaia di lavori su carta, investendo strutture in forma di torri, piramidi, forme geometriche e progressioni, secondo dimensioni che vanno da modellini e maquettes sino a realizzazioni monumentali all’aperto.
Il frequente uso, da parte di LeWitt, di strutture modulari aperte trae origine dal cubo, una forma che ha influenzato il pensiero dell’artista sin dalle prime prove.

M - Museum Leuven
Figlio di immigrati russi, padre medico e madre infermiera, presenta sempre qualcosa d’infantile, nella sua opera (grandi lattee strutture modulari, brulle e prefabbricate, tipo Lego, o cubi da stanza dei giochi, o meglio solitari interminabili nella non- comunicazione della play-station. O dadini di zucchero diventato marmo, ma senza l’ironia dada di Duchamp). Qualcosa di primario ma pure di dottrinale, di retorico, perchè Sol LeWitt ha vellicato sempre l’idea basica del monumentale, dell’edificante, del tempio moderno, a-religioso, privo però del mistero degli ziggurat o delle piramidi antiche.
M - Museum Leuven
Se volete maggiori info sulla mostra (ché magari poi andate su e la visitate) c’è il sito del museo M di Leuven: con tanto di making of in un video messo su vimeo. La mostra durerà fino al 14 ottobre.

Cheppoi Suike mi han detto che vuol dire zucchero.

Share photos on twitter with TwitpicLa cosa che mi ha fatto più impressione è che finalmente, dopo un mese in cui il grosso problema era avere l’autan o meno con se, la questione principale era la cazzo di pioggia durante gli headliner.

Perché sì, le Fiandre sono la regione a più alta concentrazione di Festival Musicali (come da noi la sagra del fungo, daaa porchetta e cose). Lì sono intelligenti, e hanno capito che si può puntare sulla musica, che è cultura e genera -oltre che divertimento sano- un introito. E funziona tutto alla perfezione. Bravi.

Suikerrock è un nome obbligato per la minuscola Tienen. Patria del ciclista Verbrugghe (eh, vedi che prima o poi quello sport mi sarebbe stato utile) aggiunge alle 32mila unità circa 7000 persone da 25 edizioni (dal 1986, ergo era la ventiseiesima) nella piazza principale della cittadina. Dicevamo del nome: celebre, mi dicevano, è la Tiense Suikerraffinaderij, ossia la raffineria dello zucchero di Tienen e questo quindi è il protagonista della prima parte del nome. Assieme allo sponsor, il purtroppo celebre anche da noi “Win for Life”, quella lotteria che ti promette di sistemarti a vita.. Devo esplicare anche a voi il calcolo delle probabilità secondo cui è molto più facile che in Belgio non piova (mentre ero su pioveva solo durante gli headliner, giuro) che voi vinciate a un gioco d’azzardo?

Ma torniamo didascalici.

Il festival è carino, ben organizzato, piccolo ma notevole. Mi ha fatto piacere scoprire Daan e i Channel Zero, mi ha fatto enorme effetto vedere di persona quanto sia brava Orianthi -ora chitarrista di Alice Cooper truccata come vampira, già turnista di Michael Jackson- nonché strafiga (ma è più brava che figa, anche se è una dura lotta) ma ciò che nel mio cuoricino conta di più è che c’è stata la grossa commozione di vedere dal vivo dopo gli anni del liceo (cosa era, il 98? o il 97?) passati ad ascoltarli i Texas. La voce di Sharleen Spiteri è bella ancora come sul disco, ed è immutata nella memoria di allora. Vi giuro che non sono mai stata così felice di prendermi un’ora e mezza di diluvio da sola sgolandomi cantando le canzoni.

[certo, il giorno prima non ero esattamente in forma fisica quando ho preso l’aereo, ma il programma era così, oh]

Robe più musicali sul day1 le ho scritte su Radionation.

Ora poi vi racconto tutto ma nelle Fiandre mi son divertita un casino.

Sono andata nelle Fiandre per il mio primo blogtour (in solitaria, figata) e mi sono trovata molto bene. Ora nei prossimi giorni vi racconto per filo e per segno quello che ho fatto in quei 4 giorni su in Belgio.
Suikerrock in Tienen
Intanto devo ringraziare la sede italiana di Turismo Fiandre per avermi portata nel progetto di Flanders is a Festival. Ho conosciuto gente nuova, ho visto posti che non avevo visto, ho superato due attacchi di panico ripentendomi le cose ad alta voce (chissenefrega se mi prendevano per matta, chi li conosceva), ho mangiato bene, ho scoperto nuovi gruppi musicali. Cosa si può volere di più?

(replicare, sigh, ecco cosa si può volere…)