C’era una volta un post di Eìo, di ritorno da un corso torinese, che parlava di quanto è bello viaggiare sui mezzi pubblici (anche) perché si osservano gli altri. [oltre al traffico, la siccità e l’Etna, ovvio]
Quanto è vero.
Io, abituata a scorrazzare in bici in 12 minuti netti da casa all’università giuocando alla velocista [sì, a volte mi immagino le telecronache di Cassani e Bulbarelli dietro], con Parma girabilissima a piedi ho perso un po’ il gusto – da quando la mia facoltà non è residente al campus- dell’osservazione umana nel mezzo pubblico. Ed è bella, diciamocela. Dal guardare la sfumatura dei capelli del vicino, sentire gli altri italiani che ciacolano a voce alta pensando che tanto non li capisce nessuno. Contare gli ipod presenti sul convoglio. Chiedersi se quella famigliola lì americana con sei bimbi piccoli tutti biondini sia battista di confessione e sia rimasta a leggere il sintagma "crescete e moltiplicatevi" per poi andarlo ad applicare sovente. Guardare che telefonini hanno gli altri, cosa cavolo si leggono, come prendono appunti. Capire se i bambini italiani sono gli unici a strillare come se venissero circoncisi quotidianamente sulla pubblica via. Guardare gli altri, le modelle con le coscie grosse come il tuo polso, le anziane che si agghindano che paiono ventenni. Le quindicenni che paiono anche esse ventenni. Che ingorgo c’è, a vent’anni?
Poi magari becchi il figo del convoglio, davanti a te. Ma sono le cinque del pomeriggio, il caldo del convoglio e se guardi bene, ogni giorno alle 17, tutti sul treno tendono ad abbioccarsi. Ci fai uno studio a campione e ti accorgi che succede sempre, sarebbe da studiarlo, quasi. A livello di ricercatore, dico.
Dicevo, becchi il figo del convoglio che però è anche liceale. Lo noti, c’ha lo zaino, e più in là ci sono altri suoi simili usciti da scuola. E ti accorgi che ste nuove generazioni maremmacane crescono davvero bene. Solo che te e lui siete saliti alla stessa stazione, e vi state abbioccando, uno di fronte all’altro, in quei sedili che solo sulla linea uno sono uno così distante dall’altro sebbene difronte. En face.
Tu lo guardi, lui ti guarda. Fate finta di nulla.
Lui ti guarda, tu lo guardi.
Quello che ti sta a lato ti ha dato una gomitata sulla milza ma tu non batti ciglio.
Lui ti guarda, tu fai finta di niente e osservi con la coda dell’occhio.
Tu lo guardi, beh, insomma ‘sta lì davanti e non se butta via.
Lui tende ad abbioccarsi, tu tendi di resistere ma ti cala la palpebra.
Il guidatore di merda tende a inchiodare e quindi ti svegli, lui si sveglia. Lui ti guarda e tu lo guardi.
Vi fissate, in pratica.
Perché? Boh.
Poi, ché nella linea uno c’è la vocina che ti dice in che stazione si arriva con prima una dizione e poi ripete lo stesso nome detto appena prima evidenziando ancor di più la sortita, lui se ne scende e tu dici: "mah".
Poi a quella dopo scendi anche te.
Ma soprattutto c’è quella strana usanza che si è instaurata al secondo giorno, quando io pensavo [ovvìa, vegetavo] seduta su uno di quei sedili lì che si tirano giù alla bisogna quando si è relativamente in pochi nel vagone: una donna giovane da fuori lì nel marciapiedi della stazione della gare de l’est tiene la porta con la mano e si rivolge a me chiedendomi qualcosa. Io inizialmente la guardo come guardai la mia tv quando Silvio disse che ci toglieva l’Ici, lei ripete la domanda e le dico che no, non siamo diretti verso Bobigny.
Dopo ciò torno nel mio stato di catalessi, anzi prima mi chiedo in realtà io dove stia andando. Trovata la risposta nel cartellone sopra la porta ripiombo nella mia terra di mezzo.
Il giorno dopo una signora mi chiede di contarle le stazioni che aveva ancora da attendere prima di scendere.
Il pomeriggio stesso un americano mi domanda quale sia la stazione migliore per raggiungere il Museo d’Orsay.
Il giorno dopo sarei voluta uscire con una gigantesca i sulla fronte. Sta a voi se volesse sottendere imbecille o informazioni.
beh, se sulla fronte ti scrivevi gioconda, poi venivano tutti i turisti a vederti.
secondo me sarebbbe stato peggio.
Sì, anche perché il flash dopo mi da noia.
Tutti uguali i treni del mondo… Stesse persone, stesse abitudini di chi lo prende, il treno (sostanzialmente farsi, in un modo o nell’altro, gli affari degli altri…)
Cmq, dato che a quanto pare sei la grande I parigina… se passo di li chiamo te… ;-))
Perché, invece, se io ti guardo te ridi?
Stardust: eh, chiama chiama.
Filo: mah, chissà perchè…
Qualche anno fa ero a Firenze, in pieno centro, con delle amiche. Cammino con le mani in tasca e il naso per aria e iniziano a fermarmi turisti chiedendomi indicazioni. “Sorry, I don’t live in Florence.”. E’ stata la mia frase del giorno. A BASTA!
Ci abbiamo la faccia da persone che la sanno lunga, si vede.
Sono stata spesso a Parigi e sto per tornarci, però devo dire che sul metro non mi ha mai cagato nessuno. Per questo adoro Parigi e detesto Roma, dove invece si è fin troppo costretti alla socializzazione… Che tu sia incappata nell’eccezione che conferma la regola?
mm: probabilmente li attiro, non so
o Italiana…? per esempio. Ma poi avrebbero potuto additarti di nazionalismo all’estero… non sia mai! ;)
Sia mai, marchesa, in periodi post mondiali poi :)