Throw me tomorrow, Now that I’ve really got a chance.

Oggettivamente, non voglio essere falsa, la morte di David Bowie è uno degli eventi che mi sta un po’ sbarellando di più dopo quello che è successo al Bataclan.
Ero entrata nell’ordine delle idee che non avrei mai visto Bowie live, dopo che persi (era il 2002, credo) il suo concerto a Lucca. Scazzo. Tre anni fa dopo che realizzai questo mi feci una specie di scaletta di “artisti che devo vedere prima che tirino le cuoia”. Per ora, credo, sono riuscita con successo a vedere solo eroinomani. Purtroppo Bowie no, ma in quello che lasciava trapelare con la malattia (non solo il cancro di adesso: era entrato in depressione dopo che aveva avuto problemi cardiaci. Questa è una cosa che molti di voi non hanno ancora provato ma è assurdo vedere con la malattia come il tuo corpo, a cui non avevi dato molto ascolto quando era tutto ok, ti limiti in tutto e imprigioni la tua testa… poi anche quella va giù) mi ha ancora radicato più come fan. Oggi infatti chi lo ricorda, non perché vuole fare il figo sui social, lo presenta come Ziggy Stardust. Io, un po’ come del resto che ho scoperto i R.E.M. con Up che fa un po’ schifo a tutti, mi ricordo che lo scoprii nel 1997 quando pubblicò Little Wonder. I classici li avevo sentiti, ma quella traccia alla radio mi incuriosì (ricordo che andò anche a Sanremo quell’anno).
Ed ecco, per quello che quando mi chiedono quale sia la sua canzone che preferisco io me ne esco con Thursday’s Child. Un po’ per il video (i video di Bowie sono sempre stati tantaroba), un po’ le parole, un po’ tutto. Non è il pezzo migliore musicalmente della sua discografia, ma emozionalmente è quello con cui voglio ricordarlo. E boh, a me spiace un po’ come se sia morto il mio zio preferito e mi spiace soprattutto un bordello sia stato male un anno e mezzo.


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