Music Dot Fran: Goldfrapp

ph. Franfiorini

Non so se un racconto di un concerto esattamente una settimana dopo è come la storia della decomposizione del pesce. Vediamo di non rendere noioso il tutto: mi son spesa il mio concerto in quota queer dell’anno.

Questo bilancerà almeno le 30 volte in cui mi metto sul divano a bere birra e insultare chi gioca nella mia squadra di calcio. Al ritorno su twitter avevo l’invidia degli amichetti che scrivono di musica, una t-shirt da strizzare, gente che commentava sul mio blog facendomi capire quanto il mio background musicale sia estremamente attaccato al substrato degli anni ‘80, pucciato come un biscotto nel caffelatte, e gente che mi ha giustamente chiesto “Ho paura: ma è stato più un concerto verso Morricone o verso Heather Parisi? Temo la risposta”.

Vi posso dire che non è andata così male, bisogna fare al solito i dovuti raffronti. Alison è come sarebbe stata la Dietrich se avesse cantato nell’Angelo Azzurro con ritmi Shoegaze. Alison (ci ho messo una vita a capire che la elle fosse una sola, quindi perdonate l’iterazione) pare quasi che si ispiri molto a Marlene: si è parlato molto della sua bisessualità o del suo cambiare tendenze sessuali avendo ora una relazione con una donna, e lei – più che giustamente – intervistata sull’argomento ha detto che ha una relazione meravigliosa con una persona meravigliosa. Che è capitato che sia una donna.

Alison rapportandola alla nostra signora incontrastata del Pop, Madonna, ha dieci anni meno, una cittadinanza inglese e una carriera folgorante solo negli ultimi anni. Facciamo ultimi sette anni, dai. Prendendo influenze musicali un po’ in giro però da un ricco substrato: ha abitato e lavorato in Belgio ascoltando Gainsbourg, faceva la cameriera e ascoltava la dance polacca. Quando crea musica dice che vuole dar vita a un’esperienza visuale, e infatti se chiudetegli occhi la suggestione la avete: “I don’t want it Baudelaire, just glitter lust.” diceva in Ooh La La, sospirandola, modulando con la sua voce calda le strofe, facendo la musica prima lieve e soave e poi più ripetitiva ma non violenta. Secondo voi di che si parlava? No, non di sudoku.

 

Della Ciccone invece ha quel trasformismo e quel fisico che regge sebbene non siano più giovinotte: Goldfrapp ha legato una sua immagine di outfit e di performing legata ad ogni album fatto uscire. Dal glam, al circense, al naturalistico con tanto di coda di cavallo attaccata al coccige al yeah siamo tornati negli ottanta e non ne usciamo più.

Goldfrapp è un duo, supportato da altri musicisti, due donne e un uomino. Will Gregory, la mente del gruppo non c’è. Suona il basso Charlie Jones, che indossa dei pantaloni colordomopack molto avvolgenti, con la maglietta aperta sul pettorale. E poi arriva lei, Alison Goldfrapp: calzamaglia glitterosa, smokey eyes e tre bolerini/giacchini/toprobasoprascusamanonsonofeshionista che verranno cambiati nel corso dell’esibizione.

Sempre per la serie questo pezzo è scritto su un magazine feshion: il primo era una sorta di giacchino spaventapasseroso fatto di materiale vinilico, il cuieffetto era sacchetto della spazzatura a listarelle messo sulle spalle. Il secondo era un blazer argentato modello alieno visto negli anni 70. Il terzo un giacchino di pellicciotto ecologico rosa che mi ha fatto esclamare subito alla compagna di concerto una frase che suonava tipo “Oddio, ha scuoiato Poochie per fare ’sto coso”.

Ma c’erano i ventilatori, il vento, e tutto lo svolazzo – oltre a far respirare noi nelle prime file – faceva un casino di coreografia, signora mia. Musicalmente i suoni prodotti erano perfetti, la cantante era supportata ai cori dalla tastierista, un polistrumentista che spaziava dal violino a una keytar so 80’s e la batterista facevano da sfondo. Jones invece faceva capire che non era un playback tutto quello che stavano suonando perché il suo basso dal vivo picchia quattro volte tanto rispetto al disco: il live è incentrato sui brani da “Head First”, ultimo album della band: ci sono tutti i pezzi più famosi, da “Alive” a “Believe”, e ovviamente “Rocket”.

Il basso influisce parecchio soprattutto su brani come “Ride a white horse”, “Number one” e la stra-nota “Ooh La La “, dove parte il pogo – ormai in Italia si poga anche su Nilla Pizzi – e mi fa capire dopo 3 minuti di canzone saltellata che il lavoro che sto facendo sui miei polpacci ha dato i suoi frutti.

Poi appena finito, ma proprio quattro secondi dopo ci hanno spinto fuori ché avevano da organizzare la serata successiva, e quindi tac, magia sciolta, la tristezza del “ragazzi grazie uscite” anche se per uscire dovevamo calpestare altri lì a parlare. Ché assieme all’acustica buona solo nelle prime cinque file è un po’ il problema dei Magazzini Generali. Eh. Peccato.


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