L'italiano, il francese, il tedesco.

Fondamentalmente, uno dei grossi buchi neri dell’umano scibile è che non si capisce mai una volta per tutte che tipo di rapporti umani ci siano tra l’italiano, l’inglese e il francese delle barzellette. Di primo acchito potrebbe sembrare un quesito di poco conto. Mai valutazione fu più errata perché i rapporti tra questi tre attori protagonisti dell’umorismo made in Italy hanno condizionato la cultura di casa nostra e, soprattutto, l’agire dell’essere umano e la sua evoluzione. E poi perché, di tutte le situazione paradossali che fanno da spina dorsale alle barzellette, i rapporti amicali tra italiano, francese ed inglese sono di gran lunga il fattore meno spiegabile.

Le barzellette ambientate negli studi medici hanno una base di verità estremizzata. Elevano oltre ogni logica i casi di malasanità che compaiono sui giornali. Sia nel dottore che risponde al paziente che per fare il bagno con la diarrea è sufficiente riuscire a riempire la vasca, sia nel paziente ignorante che il limone per fermare la diarrea lo usa non propriamente in modo consono.

Le barzellette sugli stranieri in generale, con la gente di colore che ha comunque un ruolo predominante, fanno leva sulle difficoltà dello straniero a parlare la lingua del posto. E non facciamo tanto i fighi perché in Inghilterra di barzellette che giocano sullo scarsissimo inglese parlato degli italiani ce ne sono a pacchi.

Le barzellette sessuali violano le leggi della razionalità. Cazzi enormi che all’occorrenza vengono tagliati o regolati da improbabili pozioni che ne modificano la taglia a seconda delle necessità; donne che scopano come ricci e vantano relazioni sessuali che sfidano ogni logica e ogni regola base della fisica e della biologia (ved. post “Agenti e reagenti”); orde di neri che, presi per il culo nelle barzellette sugli stranieri, si godono la propria rivincita a suon di mastodontici peni d’ebano. E poi nonnine arzille cui la menopausa avanzata ha irrimediabilmente alterato il ciclo ormonale, piccole Pacciani di otto anni che si mascherano dietro bambine delle elementari, storie di corna in tutte le salse, di gay che provano a inchiappettarsi in ogni dove e di Pierini che vivono sognando la folta patonza anni ‘70 della maestrina di turno. Tutte storie talmente assurde da rendere palese il proprio carattere immaginifico. O, in molti casi, onirico.

Le barzellette con l’italiano, l’inglese e il francese hanno invece una polpa di struttura in apparenza elementare, ma nascondo un nocciolo piccolo e durissimo di nonsense.

“L’italiano vince, mentre l’inglese e il francese perdono”, cantava Elio, e fin qui ci siamo. Il problema è che spesso l’italiano vince buttandolo al culo agli altri due. Quindi arriviamo al quesito ultimo: ma se io fossi l’inglese e il francese continuerei a frequentare l’italiano?

Pare quesito di poco conto ma è qui che si gioca la partita. Da quello che si evince italiano, inglese e francese stanno spesso insieme, almeno a giudicare dalla quantità di storie in cui sono protagonisti. E questo pone tutta una serie di inquietanti interrogativi. Sono amici? Forse non molto visto che l’italiano prova sempre a fregarli. Eppure dormono insieme nella casa del Fantasma formaggino, sono insieme sul Big Ben quando lanciano gli oggetti dall’alto per provare poi a raccoglierli ai piedi della torre e sono insieme anche sull’aereo quando provano a capire quale parte del mondo stiano sorvolando (anche se in quest’ultimo caso non è spiegato dove sia diretto l’aereo). Potrebbero essere colleghi, ma ciò intanto non spiega perché vadano a dormire nel castello del Fantasma Formaggino invece di sistemarsi, ognuno nella sua camera, in un comodo albergo pagato dall’azienda, e, in secondo luogo, non giustifica neanche il fatto che si trovino in un bar a parlare di come sono fatte le scatole dei preservativi nei rispettivi Paesi (io con i miei colleghi faccio anche di peggio e infatti sono più amici che colleghi). Poi in un’altra barzelletta fanno anche una gara di immersioni: sono evidentemente in una cosa tipo ClubMed, ergo dovrebbero essere amici. O semplici compagni di sventura, visto che sono anche vittime di un naufragio. In tal caso, però, il fato che li fa incontrare ogni volta sarebbe decisamente troppo forte.

Insomma non si capisce perché ‘sti tre siano sempre insieme. E soprattutto sono difficili da comprendere gli errori tattici dell’inglese e del francese. No, dico io, se capisci che questo (l’italiano) aspetta sempre di esprimersi per ultimo sul tema in questione per fare bella figura, dovresti cambiare strategia. O inizi a mentire quando tocca a te per smontare la tesi dell’italiano; o potresti provare a defilarti, fingendo – che so? – che stia squillando il cellulare, per poi tornare e rilanciare sulla battuta dell’italiano. Quindi ne consegue che la furbizia dell’italiano, che le barzellette vogliono dimostrare, non sta in realtà nell’arguzia di cui dà prova con la battuta finale ma nel fatto che l’inglese e il francese non abbiano ancora trovato un modo per non fargliela fare quella cazzo di battuta, nonostante siano anni che popolano le stesse barzellette.

C’è però una variante impazzita: il tedesco. In alcuni contesti, infatti, l’allegro teutonico rimpiazza il francese o l’inglese. O si aggiunge alla comitiva. Il che complica ulteriormente la definizione della relazione sociale e affettiva che governa le barzellette che iniziano con “ci sono un italiano, un francese (o un tedesco) e un inglese (o un tedesco). E forse pure un tedesco.


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