Io sono cresciuta in un posto dove ci sono le terme. Sinonimo letterario, da Fellini a Pirandello, di gente che cerca delle evasioni sentimentali oltre a passar le acque o sottoporsi ai fanghi. Solo che spesso venivano anche le mie amiche, e si stava lì, a ciondolare al parco ad ascoltare le orchestrine figlie di Casadei che
scodellano liscio e mazurche a nastro dalle nove di mattina fino alle diciannove. Non è che ci fosse tanto da fare… Le alternative tra bere acqua e gustare frappè e gelati erano giocare a bocce, a minigolf e poi sparlare delle persone che si fiondavano in pista. Tutto poteva essere argomento di critica: postura, presunti parrucchini, trucco delle signore, abiti al limite del circense, modus ballandi.
Spesso però c’erano gruppi di persone venute così, tra loro. Come del resto noialtre si stava lì a sghignazzare tra giovincelle. Ma ricordo un pomeriggio dove un capannello di anziani stava lì a tossire, a bere acqua e a planare puntando in giro eventuali prede. Vidi del movimento con la coda dell’occhio mentre il mio frappé al cioccolato, costato seimila lire perché portato al tavolo, calava a vista d’occhio.
Uno di quelli si avvicina e mi chiede di ballare. Un signore col quadruplo e rotti dei miei anni, metà della mia altezza, malmesso, emaciato, colorito verdastro. Una specie di lungodegente che fino al giorno prima limonava con la maschera d’ossigeno e si appoggiava al portaflebo come se fosse il suo bastone.
Avevo sedici anni appena. Io declino gentilmente, anche un po’ imbarazzata, dicendo che non so
ballare e lui replica: “Non si preoccupi: il mi’ nonno, ch’era un grand’omo, mi disse sempre
di provarci…”
Non è che potevo essere sua nipote, è che poteva essere benissimo mio paziente ora.
Scritto da frannina
il 28/05/2008