Pub.

Non ho mai visto tante pubblicità per gli ottici quanto in questi giorni in Francia.

A dire il vero non ho neanche visto così tanti negozi di ottica. Ricordo che a Compiegne ne contai sette in meno di cinquecento metri. Diobono, pareva la patria dei pugnettari.
Ma anche la pubblicità de les opticiens è un vero troiaio, in senso tosco ovviamente.
Da quelli che ti spalmano la rata degli occhiali, così che te puoi andare in feriae senza l’ansia di dover pagare, alla mitica pubblicità con Johnny Halliday. Dobbiamo dirlo, Halliday è ridotto a un misto tra Gianni Morandi e Cristiano Malgioglio. Fa quasi impressione. Ma lui nella pubblicità si contorce cantando come Mino Reitano, e di fronte a un rettile si cambia l’occhiale da vista in quello da sole [che l’ottico, dopo averti sgrasciato sul paio di lenti normale, ti regala]

Ma le pubblicità senza dubbio più belle sono quelle sull’Ambiente del Comune di Parigi.
Non abbandonare la lavatrice (lei non lo farebbe)Pubblicità varie del municipio parigino
Belle perché? Insomma, graziose [simili mi è parso di averle viste anche qui a Parma] ma insomma, ti fanno accettare che se te devi sgombrare rifiuti ingombranti c’è anche un servizio apposito [o altrimenti becchi la multa, strullo]. Ma il capolavoro, diciamolo, giunse con una pubblicità. La vidi innanzi al Pantheon, su un camioncino della nettezza urbana. La guardai, commossa. E non la fotografai, cazzo.
Pubblicità d'impatto
Non è meravigliosa?
In pratica, te, avventore, saresti contento se il tuo Fufi sfornasse un croissant fumante nel tuo bagno giusto nel punto dove te poi devi mettere i tuoi piedini belli dopo che hai fatto il bagno? Lo so che ne saresti lieto, lo so.
No eh.
Allora, pirla, raccogli la deiezione di Fufibello sennò ti becchi 185 euro di multa.
[Sindaci italiani, lo facciamo? Eh? Io ho visto dei parigini guardare inorriditi il loro cane con una espressione che suggeriva un "Traditore, ti cucio il deretano" e cercare in borsa qualsiasi cosa per raccogliere la merda appena prodotta per non incappare in multe.]
 

Infine una di quelle pubblicità delle giornate particolari. Pensate, in Francia si festeggiava due weekend fa le giornate dell’arbitraggio. Tra i testimonial Laurent Blanc. Ma noi la faremo mai una giornata dell’arbitraggio? [che, dicevano, senza l’arbitro gli sport di squadra non ci hanno sto gran senso sennò saremmo tutti amicici e ci vorremmo tutti bene e non vincerebbe nessuno, che palle veh?] Ma soprattutto, perché se penso a Blanc mi sovviene lui che limona la crapa pelada di Barthez?

Appunti sparsi.

Io debbo ancora capire perché per una decina di giorni mi dovevo alzare alle 7 per essere in un certo posto alle otto, dove i cappuccini costavano un botto ma tanto li pagava il Capo, solo per essere lì per fare il "punto della situazione".
E meno male che lavoravo con dei tedeschi.
Anzitutto mi subivo, in tre o quattro idiomi, la domanda del secolo. Nuovissima eh. Mica me l’ha mai fatta nessuno.
"Ma tu, studi medicina e lavori pure?"
Alla sesta volta ho guardato il mio interlocutore negli occhi e gli ho detto di sposarmi e di mantenermi.
[non che ci tenessi, ma era per variare un po’, dare sempre la stessa risposta da noia. Che ci posso fare, purtroppo le tasse me le fan pagare.]
 

Ho scoperto alcune cose, andando in giro come un rondone.
Fisicamente mie, dico.
Ho un grosso problema. Le scale so farle solo in salita. In discesa, se sotto forte stress psicofisico, mi vengono male. La cosa è stata tragicomica quando ho tentato di scendere le scale alla stazione metro Butte Chaumont. Un consiglio, se siete depositari dello stesso problema non fatele. I pratica dovete scenderne davvero molti, io dopo le prime quattro rampe ero piegata in due dalle risate conscia di non poter arrivare in breve tempo fino in fondo [probabilmente l’aver rotto completamente la gamba sinistra una dozzina di anni fa con conseguente allettamento/sediaarotelle per mesi forse e dico forse può avere influito, ma vi dico che questa specie di priapismo nella gamba a volte da noia.]
 

Ma parliamo di cibo.
Se avete fame e siete in centro (e amate i dolci) fate un salto all’Ile St.Louis. C’è una boulangerie che vi passa buoni pezzi di torta per due euro circa. In rue des deux pont. Vicino ci sta il gelataio più famoso di Parigi, non male anche esso.
In complesso non si mangia male, sarà che poi io mangio prevalentemente dolci [quando non trovo panini al crudo] quando sto molto tempo fuori casa e in Francia, come in Baviera, non butta davvero male. Un ottimo rapporto qualità prezzo, maggiore degli standard parmigiani [per fare un esempio, eh]
Ma parliamo anche di pernottamento.
Con voi posso dirlo, mi davano un tot extra per le spese d’hotel. Ora, qui siccome anche venti euri fanno la differenza e insomma non è che si naviga nei 24 carati vi consiglio una cosina. Prenotare a Parigi a un costo accettabile in un posto molto spartano è possibile. Spesa di 53 euro al giorno, bagno in camera, hotel Etap La Villette. Posterò un paio di foto della camera (su google si trova l’ingresso), ma vi assicuro che lo standard di pulizia era maggiore di un tre stelle dove erano ospitati alcuni ragazzi che conoscevo. Aggiungete otto euro di garage al dì, 4 euro per la colazione e due se avete animali. Circa 150 metri dalla stazione della metro Laumiere, linea 5. Vi assicuro, mi sono trovata davvero molto bene. Poi l’avenue Jean Jaures è abbastanza viva ma non squallida. 

Sicuramente usciranno fuori altri post sparsi così, che i ricordi riaffiorano random. :)

Frantour (essay 1)

Ciò significa farvi vedere le cose più simpatiche [sarà una rubrica del sabato, che rimaniamo noi 4 gatti con la connessione a casa] che vi porta a vedere le cose un po’ meno turistiche e più figose da sboroneggiare con gli amisci.

Strutture rosse

Bernard Tschumi, ha disseminato per il Parc de la Villette una miriade di strutture rosse con destinazioni diverse. A volte bar, a volte stazione dei pompieri, altre toilettes.
Sono anche ben visibili zoommando da google maps.

Il coniglio agile

Nella zona invece di Montmartre, di fronte all’ultima vigna esistente dentro le porte di Parigi, in rue des Saules c’è un locale di cabaret che trae il suo nome attuale, ossia Au lapin Agile, dalla sua insegna disegnata che figurava un coniglio che scappava dalla pentola. Da qui il gioco di parole "Lapin à Gill" [dal pittore Andrè Gill] e "Lapin Agile".
Ritrovo di artisti e letterati rimane ancora ora un locale tipico di cabaret.

Miglio ZeroL’effigie accanto può sembrare oscura. Si trova sul sagrato di Notre Dame ed è quasi esclusivamente fotografata da giapponesi [coff coff, facevo le stesse inquadrature degli amici nipponici ed avevo lo stesso ritmo di scatto. Paura.] Cosa è? Niente altro che il point zèro, ovvero il punto da cui si misurano tutte le distanze riferite a Parigi.

Hotel de SensSens invero è un’amabile (coff coff, sput) località accanto a Parigi della quale vi narrerò in quanto con la pioggia, il vento e gli avversi numi l’ho visitata causa lavoro. Ma codesto, a Parigi, ne è l’hotel. Situato in rue de figuier ora è una biblioteca, anzi la sede della biblioteca d’arte Forney. Relegata qui Margherita di Valois dal suo marito, Enrico IV, vi troieggiò e sperperò abbestia, esemplare un avvenimento: un suo ex favorito uccise barbaramente l’amante del momento e ivi poi venne decapitato [uso in seguito, qui eravamo nel seicento, poi molto amato sui suoli parigini], ci troviamo nel Marais.

Fontaine des InnocentesIn square des Innocents sussiste uno dei pochi monumenti rinascimentali rimasti di Parigi. Sussiste, insomma, venne traslocato dalla vicina rue St Denis dopo l’immenso sgombro ottocentesco del cimitero degli Innocenti [se vi interessa questo episodio, quasi da girone dantesco a tinte fosche, è narrato benissimo in "I segreti di Parigi" di Augias], visto che la fontana faceva da corollario alle mura del cimitero. Bene, proprio le mura portarono a chiudere il cimitero, che era pieno [impressionabile, salta alla prossima foto, grazie] di cani ululanti che erano attratti dai lezzi e i miasmi cadaverici visto che i corpi erano malseppelliti. Un giorno un muro di una cantina di una taverna, che confinava con una fossa comune del cimitero, vide invadere le botti dal contenuto della fossa stessa. Così si capì che versare litri di profumo non giovava all’igiene, e quindi si spostarono le ossa [ci vollero un paio d’anni di lavori indefessi] nei cunicoli della zona sud di Montparnasse. Lì ora sono situate le catacombe. Qui invece ci troviamo in zona les Halles.

Il metroInfine una cosa trovata così, ciabattando. Sotto i portici di rue de Vaugirard, dietro al Senato e i giardini del Lussemburgo, trovate il Metre Etalon. La convenzione nazionale, al fine di generalizzare tra la gente il passaggio al sistema metrico, fece piazzare alcuni metri marmorei nei luoghi più frequentati di Parigi. Questi metri furono installati tra febbraio 1796 e dicembre 1797. Codesto è uno dei due reduci a Parigi e l’unico ancora nel suo sito originario.

Riprendete il vostro biglietto.

C’era una volta un post di Eìo, di ritorno da un corso torinese, che parlava di quanto è bello viaggiare sui mezzi pubblici (anche) perché si osservano gli altri. [oltre al traffico, la siccità e l’Etna, ovvio]
Quanto è vero.
Io, abituata a scorrazzare in bici in 12 minuti netti da casa all’università giuocando alla velocista [sì, a volte mi immagino le telecronache di Cassani e Bulbarelli dietro], con Parma girabilissima a piedi ho perso un po’ il gusto – da quando la mia facoltà non è residente al campus- dell’osservazione umana nel mezzo pubblico. Ed è bella, diciamocela. Dal guardare la sfumatura dei capelli del vicino, sentire gli altri italiani che ciacolano a voce alta pensando che tanto non li capisce nessuno. Contare gli ipod presenti sul convoglio. Chiedersi se quella famigliola lì americana con sei bimbi piccoli tutti biondini sia battista di confessione e sia rimasta a leggere il sintagma "crescete e moltiplicatevi" per poi andarlo ad applicare sovente. Guardare che telefonini hanno gli altri, cosa cavolo si leggono, come prendono appunti. Capire se i bambini italiani sono gli unici a strillare come se venissero circoncisi quotidianamente sulla pubblica via. Guardare gli altri, le modelle con le coscie grosse come il tuo polso, le anziane che si agghindano che paiono ventenni. Le quindicenni che paiono anche esse ventenni. Che ingorgo c’è, a vent’anni?

Poi magari becchi il figo del convoglio, davanti a te. Ma sono le cinque del pomeriggio, il caldo del convoglio e se guardi bene, ogni giorno alle 17, tutti sul treno tendono ad abbioccarsi. Ci fai uno studio a campione e ti accorgi che succede sempre, sarebbe da studiarlo, quasi. A livello di ricercatore, dico.
Dicevo, becchi il figo del convoglio che però è anche liceale. Lo noti, c’ha lo zaino, e più in là ci sono altri suoi simili usciti da scuola. E ti accorgi che ste nuove generazioni maremmacane crescono davvero bene. Solo che te e lui siete saliti alla stessa stazione, e vi state abbioccando, uno di fronte all’altro, in quei sedili che solo sulla linea uno sono uno così distante dall’altro sebbene difronte. En face.
Tu lo guardi, lui ti guarda. Fate finta di nulla.
Lui ti guarda, tu lo guardi.
Quello che ti sta a lato ti ha dato una gomitata sulla milza ma tu non batti ciglio.
Lui ti guarda, tu fai finta di niente e osservi con la coda dell’occhio.
Tu lo guardi, beh, insomma ‘sta lì davanti e non se butta via.
Lui tende ad abbioccarsi, tu tendi di resistere ma ti cala la palpebra.
Il guidatore di merda tende a inchiodare e quindi ti svegli, lui si sveglia. Lui ti guarda e tu lo guardi.
Vi fissate, in pratica.
Perché? Boh.
Poi, ché nella linea uno c’è la vocina che ti dice in che stazione si arriva con prima una dizione e poi ripete lo stesso nome detto appena prima evidenziando ancor di più la sortita, lui se ne scende e tu dici: "mah".
Poi a quella dopo scendi anche te.

Ma soprattutto c’è quella strana usanza che si è instaurata al secondo giorno, quando io pensavo [ovvìa, vegetavo] seduta su uno di quei sedili lì che si tirano giù alla bisogna quando si è relativamente in pochi nel vagone: una donna giovane da fuori lì nel marciapiedi della stazione della gare de l’est tiene la porta con la mano e si rivolge a me chiedendomi qualcosa. Io inizialmente la guardo come guardai la mia tv quando Silvio disse che ci toglieva l’Ici, lei ripete la domanda e le dico che no, non siamo diretti verso Bobigny.
Dopo ciò torno nel mio stato di catalessi, anzi prima mi chiedo in realtà io dove stia andando. Trovata la risposta nel cartellone sopra la porta ripiombo nella mia terra di mezzo.

Il giorno dopo una signora mi chiede di contarle le stazioni che aveva ancora da attendere prima di scendere.
Il pomeriggio stesso un americano mi domanda quale sia la stazione migliore per raggiungere il Museo d’Orsay.
Il giorno dopo sarei voluta uscire con una gigantesca i sulla fronte. Sta a voi se volesse sottendere imbecille o informazioni.

Lui chi è [l'indirizzo ce l'ho rintracciarti non è un problema (incontrare Renato Zero a Parigi)]

Parigi è una sorta di buco nero.
L’ho scoperto prima, dialogando pacificamente col mio amministratore di condominio, e sebbene abbiamo iniziato a parlare delle infiltrazioni nel mio garage, saltando di palo in frasca, siamo giunti a raccontarci che entrambi la passata settimana eravamo a Parigi, sono cose della vita, che coincidenze dunque. E mi ha narrato in seguito che insomma, c’era stato a nove anni e poi c’è tornato ora. Chissà se ci potrà tornare ancora, poverino. E sull’onda dell’entusiamo, sospirando e anelando le quai, mi ha detto che farà in modo che la banca non mi faccia più pagare le commissioni quando verserò le costose rate del condominio.
Ma dico, pensate. Magari mille di voi [mille, suvvia, è un computo alla ing.Cane. Chi ha, qui, mille lettori. Suvvia, siamo trenta, ci conosciamo tra di noi così bene che ci si spulcia] saranno stati nel mio medesimo posto nel mio stesso momento in cui c’ero anche io medesima e non lo sappiamo magari eh. Tipo io ero all’autogrill della Tevere Ovest a bere un caffè, voi vi addentavate un fattoria e la morosa stava alle toilette e noi non lo sappiamo perché non ce lo siamo raccontato. Un po’ come quando tra juventini ci accorgiamo tutti che nel novantasei eravamo lì all’Olimpico per la Champions.

Questa introduzione sta diventando troppo lunga, saltatela.

Andiamo ai fatti. Martedì 3 ottobre, verso le ore 15 [quindi le traè] stavo amabilmente passeggiando in rue du Faubourg St Honoré per digerire la baguette farcita prosciutto, formaggio, insalatina e tonno [oh, avevo fame] in compagnia femminile [fosse stata maschile, la compagnia, si poteva digerire in modo diverso, lo so] e difronte a un negozio di pelletteria, mentre camuffavo uno di quei ruttini soft da ingolfamento digestivo vedo un bizzarro figuro aggirarsi all’interno del negozio. Mi fermo, mi si blocca il processo digestivo e lì per lì penso:
"Toh, guarda, c’è qualcuno che si ispira a vestirsi al renatozero quando lo imita Panariello…"
Guardo la borsa, guardo di nuovo dentro, mi volgo alla compagnia accanto.
"Soccia, ma quello è Renato Zero, porca miseria!"
La leggiadria che mi contraddistingue fortunanatamente non è notata appieno, così si decide [io non volevo, mi sembra sempre di dar noia] di provare a salutarlo.

Renato Zero, con una felpa verde mela evidenziatore uniposca, un paio di pantaloni bianchi alla ggiovane e il suo taglio di capelli un po’ lungo, era lì, a comprare borse.
Il suo mmm, non so se era figlio adottivo ma era un giovine ragazzo che mi ha anche detto Forza Juve [ci avevo il consueto palandrano antipioggia gobbo] e l’altro (sarà il manager?) stavano lì a guardare tra lo scocciato e il prevenuto [ora che ci penso, potevo fargli firmare un autografo ponendo sotto una abile cambiale che serviva così a coprire il mutuo col montepaschimerdaalè, uff], li capisco, non ho una faccia rassicurante durante la digestione amici lettori. Poi io e le mie occhiaie, ecco…
Ma Renato è gentilissimo, dopo baci e abbracci si ferma anche a chiederci chi siamo e da dove veniamo e cosa facciamo di bello.
"ahò a Pariggi se cammina tanto bene, nun ce so li sampietrini come a Roma che dopo un po’ c’hai mal de piedi…"
Dunque mi rimarranno in mente codeste parole, dacché mi dissero i suoi accompagnatori che foto non erano gradite. E mi resterà anche l’in bocca al lupo per i miei studi. Renato quindi cari sorcini è gentilissimo, una persona molto cordiale che ci ha salutate e ha amabilmente scambiato due chiacchere. Solidarietà tra italiani che si ritrovano all’estero. Son cose.

[che poi va sempre così. Io magari svengo o mi viene da vomitare come a lei o verosimilmente inizio a balbettare se vedessi un Bellamy cantante e migliaia (ecco, tornano i mille di cui sopra) di sorcini invece sapendo che Renato m’ha dato il bacetto sulla guancia magari rosicano… ma son sempre cose ecco. Se incontro Gigidalessio però non lo saluto.]

Devo comprare delle cornici Ikea, ma mi da noia arrivare a Casalecchio.

Dipendentemente da miei sprazzi di horror vacui acquistai numero quattro stampe con soggetti parigini da incorniciare e porre nei muri bianchi di casa mia, assieme a miei giovanili attacchi d’arte.

[sì, non c’ho il bloc notes e abusavo dello sglaps, ché almeno i titoli li leggo. I post no, ma i titoli sì, ché sono scritti grossi e di una sola frase col punto alla fine]

A me fa bene lavorare fuori, acquisisco i vizi e le virtù del popolo con cui sono a contatto.
Deriviamo la frase sopra: ho impeti di testadicazzismo. Me ne sono accorta stamattina, lavorando, mentre ho detto a un’impiegata dell’università circa questa cosa:
"Sì, ora lei si impone perché crede di essere dalla parte della ragione, ma io andrò in presidenza e le dimostrerò che non è così. Quindi ritornerò qui e mi potrà fare le sue scuse, che io accetterò perché contrariamente a lei ho elasticità mentale."

Mmm, sì.
Ma diciamolo, il mio periodo di lavoro è stato pessimo. Bello ma da orchite. Ora non sto a spiegarvi cosa facevo, ché è lungo e macchinoso [e sono anche pudica a parlare di lavoro, non so, ci ho l’ansia e mi vergogno e ho paura che porti male. Ho le paranoie, sul lavoro.] ma diciamo che era divertente da un lato e stressante dall’altro.
Questo post quindi poteva intitolarsi anche "cazzo, ma mi cadranno i capelli per quella terapia lì un po’ invasiva o perché fubbi sottoposta a stress acuto?".
Vi elenco una giornata tipo:
Ore 07:00 sveglia, doccia, vestizione
Ore 07:25 entrata nella stazione Laumiere, linea 5, per poi cambiare a Jaures o Stalingrad [non ricordavo mai dove c’era meno strada da fare a piedi, e quindi a volte mi incazzavo per le 4 rampe di scale] fino a Opera.
Ore 08:00 colazione col capo e piano della giornata
Ore 08:30 inizio del lavoro [seguono diverse pause, salcazzi, spostamenti]
Ore 15:00 pausa pranzo
Ore 15:30 eventuale rispostamento fino a Porte de Pantin in zona città della Musica
Ore 19:00 pausa, fino alle 21 con eventuale prolungamento dalle 21-24 per qualche spettacolo e/o prova
Ore 23-24 cena
Il mio capo, ebreo polacco parlante tedesco, inglese e italiano, ex deportato [ha circa novant’anni] mi chiamava l’animale da soma, con simpatico umorismo tedesco. Credo che però a tratti mi abbia trattato come esperimento sociopedagogico [oltre a mandare me ad appianargli le cose prima che arrivasse lui], difatti i primi due giorni ero silenziosa, e lui il lunedì se ne esce dicendo:

"Ti vedo troppo contratta. Dai, non fare come i tedeschi, sei latina… sfogati…"
"…"
"Su lo so che è stressante…"
"…"
"…per quello ti abbiam chiamato, sai quanti han rifiutato?"
"…"
"Dai che non ti capisce nessuno, sfogati."
"Sticazzo di artisti di merda, che hanno sempre le fregne che sembra sempre che hanno dormito a culo scoperto, va bene?"
"Sì, e se non fossi artista anche io ti darei ragione."
"Già."

Così, amabilmente, le giornate passavano.

Cartolinismi due

Però, ad esempio la domenica ho fatto una genialata. Visto che il sabato metà mia equipe, non ha lavorato con la scusa dell’essere ebrei osservanti [e lì in silenzio mi chiedevo dove fosse sul contratto, ma chiedendomelo in silenzio non se ne è accorto nessuno] io la domenica ho rispolverato il mio cattolicesimo osservante.
E come potete vedere dal solito Flickr infatti ho osservato il Sacro Cuore, a Montmartre [e lì sotto ho comprato le 4 stampe, ecco]

[Oh, ho ancora circa 300 foto da uploadare, ma ci vorrei mettere anche le didascalie. Abbiate pazienza, è un lavoro immane, sto scartando quelle non giapponesemente belle perché in alcune non potendo usare il flash negli interni sono venute schifose e non mi va/non so photoshoppare. Son cose.]

Le plus beau des buts.

Berceto opera delle crasi meteorologiche meravigliose.
Nel senso, ieri stavo rientrando via Liguria: lì c’era caldo, il mare bellissimo, il sole [cazzo, sembro un tedesco, tra poco vi dirò pizzamandolinospaghetti. Scusate, ma ho parlato pochissimo italiano ‘sti giorni. Con mia mamma mi esprimevo in suoni gutturali toscani, con il prosciuttaro e Renato dovetti usare un italico idioma, con mia nonna mi preparavo i discorsi prima], il caldo, il mare, il sole, la brezzolina.
Passo la galleria prima di Berceto e c’è la nebbia, la foschia e il tempo mmm infregnato.
"Icchellè, c’è la porta spazio tempo e andiamo nelle paludi e tra poco ne escono gli hobbit?"
Cioè, ieri mi sono resa conto che la pianura Padana ti accoglie più amichevolmente della Guardia di Finanza eh. Son cose. Infatti a Parigi ha fatto freschino, ed io -assieme ad altri simpatici crucchi- eravamo gli unici a cenare alle 23 con le maniche corte. E non ho neppure bevuto, in compenso riassumere caffeina dopo mesi da effetti stupefacenti, ohibò.

Il mio collega di riferimento era blogger. Nel senso che mo’ aggiorna ogni morte di papa polacco. Ed è anche blogger francese famosino, mica come me, piccola operaia nella vigna degli sglaps. Parla un inglese fastidioso, ché mi ha portato a chiedergli come mai loro transalpiniesi debbano rimasticare ogni parola nel loro idioma. E siccome dormivo poco e mangiavo a intervalli non regolari gli ho gentilmente fatto capire, in modo fermo, gentile e conciso, che qualora avesse accentato il mio cognome [perchè, figa, le lingue sono maggiormente ad accentazione piana, diobono] si sarebbe ritrovato a falsettare anche il saluto.

Dicevo, non mi funzionava il wireless impastato su acquisizione indirizzo di rete.
Comunque non avevo neppure una ciospa di momento libero. Perché quando ce l’avevo andavo in giro, guardavo cose e facevo foto. Un giorno, avanti l’arco di trionfo, io e i giapponesi prendevamo le stesse inquadrature. Non sapevo se ridere o piangere o.
Il pranzo lo avevo circa alle tre. Però con la scusa "tutti fumano, quindi faccio pausa anche io" mi accumulavo un paio di orette libere dove girare un po’. I fumatori però sono neri come picchi. Dal primo febbraio dovranno anche loro [scusate, ma è stata una goduria vedere questi baguettari disperarsi su questo] uscire dai locali per fumare. Per loro è inaccettabile, o perlomeno per i miei colleghi lo era. Sempre perché dormivo poco un giorno, chiedendomi cosa ne pensassi per via di studi medicali gli ho detto che pure loro, diamine, morivano pure troppo poco per quello che si fumavano. Si vede che geneticamente sono meno portati al cancro al polmone, ma per fortuna si bilancia con quello alla vescica.
Lì parte della colleganza, quella fumatrice, mi ha odiato come odiava i crucchi miei datori di lavoro. L’altra parte mi guardava un po’ come se fossi un incrocio tra Napoleone e Monica Bellucci. Sì, una situazione imbarazzante.

Dicevo, dormivo poco e giravo tanto.
Poi il Corriere oggi spiega anche a voi fisiologicamente ignoranti che dormendo poco si tende a mangiare molto di più. Beh, ho messo su sei chili. Che siccome ne ero dimagrita 14 ora sono presentabile, ma ci ho due occhiaie che sembro il panda del wwf. Mia mamma vedendomi un giorno mi ha chiesto se mi avessero picchiato, ché avevo sto segno nero sotto lo zigomo.

Bvd Haussman

Però pensate, che bello.  
Mentre sbocconcellavo la colazione ai magazzini La Fayette mi vedevo il faccione di Zizou che faceva pubblicità alle assicurazioni Generali. Che poi, ne gira anche un’altra di versione, rimasta agli avventori di internet.
Così, insomma, mi ha fatto un po’ tristezza ecco. Anche perché ve l’ho detto che io fubbi vedova di Zidane, ai tempi che ci lasciò per le assolate spiaggie madriniste.
Mah.

Ci ho ancora un sacco di cose da raccontare, temo che molte me le scorderò. Orcazzozza, mi fossi fatta almeno una scaletta e invece no. Spero che mi aiuteranno le copiose foto che upperò sul flickr. Orrende eh, ma almeno le ho fatte.
[sì, mi siete mancati. Non è che proprio non ho scritto. Alcuni (s)fortunati hanno ricevuto delle cartoline, che se le scandissero vedreste quanto stracazzo scrivo, nello spazio bianco delle cartoline. Poi ho scritto i resoconti, male perché in metro li scrivevo. Però ho detto che son scritti male ché io c’ho la calligrafia da medico, pensate un po’]