TatinHaus.

Ormai quasi quindici giorni fa [15? minchia] stazionai a casaTatini. Pensate, ci ritornerei subito, anche perché per problemi clinici debbo ospitare mia nonna, e mi si sta prendendo non bene. A mia mamma si prende peggio, per dire.
Aiuto.

Dicevo, sparliamo di qualcuno, ché è terapeutico.
Mentre voi pensavate beato Mirkuz che si ritrova solingo con tre donne, Mirkuz in realtà non lo vedevo così felice.
Avevamo invaso lo spazio vitale a un portatore sano di testosterone, che recalcitrava.
Infatti poi, come nelle più scontate storie dove il vicino insospettabile fa a pezzi la vecchina gentile del primo piano [che però lo spiava ogniggiorno, mentre buttava via la carta nell’area condominiale] e poi arriva da te Silvia Vada a intervistarti e te riesci solo a dirgli "aaaaaaah, ma era così un bravo ragazzo… una famiglia tranquilla…. ma come sarà successo?" e invece mentre lo dici già ti figuri Lucarelli [quello che scrive] che tamburellando le dita parla di te e di quando la mattina eri uscita a comprare il croissant e il vicino ti colpì con il badile che usavate per togliere la neve dal passetto pedonale.

Chi se lo immaginava, difatti, il Tatino postare certe foto.
Su, non ci son io con le tette di fuori. Non è nel mio stile. Ci avessi una quinta lo farei, non avendocela no.
Vi spiego però. Lì è il letto di lunedì, dopo che io e Anna andammo dal meccanico. L’uomo di casa si aggirava random [probabilmente miagolando, chissà] e meditava vendetta.
Dopo che per tutto il giorno prima aveva detto, poi ritrattato, poi ridetto [pareva un ministro della Repubblica] che voleva venire a vedere i Muse.
A discolpa mia e dell’Ari vengo a dire che sì, la mattina lasciammo il divano letto così. Ma quel cuscino del letto in quel modo e quel telecomando dimostrano che lì c’è stato anche lo svacco del Tatino, che anziché mettere in ordine si è trastullato [mmm, che parola ambivalente] meditando poi di immortalare il tutto.
Ché noi la mattina si doveva uscire a far turismo.
E poi la sera c’erano i Muse. Figuratevi, s’è mangiato fuori, io e la Anna. Per poi ritornare a casa, con passo svelto.
Perché, insomma mentre voi pensate al Tatino beatotraledonne sappiate che principalmente si è parlato, in sua presenza, di motilità intestinale.
Bisogna capirlo, quindi. Povero. Uno incamera, incamera e poi dopo deve trovare qualcosa su cui sfogarsi, ecco.

Suk, nel senso mercato.

In pratica io sono fisicamente la copia di mio nonno paterno e mentalmente quella di mia nonna materna.
La cosa fa impressione, e ora vi spiego.

Mio nonno paterno era un puttaniere, tanto che dovrei spiegarvi le mie esatte parentele, ma ne esce fuori una cosa tipo Beautiful e dopo mi darebbe noia che facessero una fiction su di me.
Mio nonno paterno studiò anche qui a Parma, e per la cosa di cui sopra ogni tanto quando mi giro e vedo qualcuno somigliante mi si prende un po’ ansia, a dire il vero, che parte del nostro dna coincida.

Mia nonna invece è un personaggione. Cioè, ora me la ritroverò in casa un bel periodo, tra preoperatorio e postoperatorio e a me toccherà dormire sul divano, e io e lei per periodi superiori a traé giorni ci urtiamo, ma son cose.

Da mia nonna ho preso il contrattare selvaggiamente su qualsiasi cosa, quando ci son di mezzo i soldi.
Mia nonna va ancora al mercatino rionale e per farsi dare le cose migliori dice che sono per sua nipote quella piccola.
Ora, io ci ho anche una donna che può testimoniare che io quando ci sono dei soldi in mezzo sono peggio di un’attrice neorealista.

[se il successivo racconto può presentare toni leghisti o squadristi è il mio personaggio, non sono io]

Orbene, tutto questo cappello introduttivo per dire che la Anna aveva portato la sua macchinetta a fare la revisione la settimana che io salii a Milano. Dunque, anziché prendere il Vitara del Mirko andammo dal meccanico a ritirare la bianca macchinina. Arriviamo lì, attendiamo circa dieci minuti in ufficio, dacché lì il proprietario aveva da fare i cazzi sua.
Quando entra accampa una serie di scuse da Libro Cuore. Più che Cuore è libro Paga. Tira fuori il preventivo su un foglietto volante e dice, contrito come uno che si è pentito di 34 omicidi fatti e a cui stanno per dare l’infermità mentale, che la finanza è stata lì.
Io intanto spio che insomma, quei dodici euri per un bollino blu che io invece li ho pagati quattro mi paiono un po’ tantini, e quindi tento la carta dell’empatia verso quello strozzino lì vestito da artigiano.
"Eh, capisce… la finanza… son venuti qua, multa…. bla bla…. fattura…."
"Eh, certo, già già… fanno sempre così… eh…"
Anna, che già si era urtata quando il tizio lì aveva iniziato a fare cerimonie chiedendo se fossimo sorelle [spero che mio nonno non abbia dato anche da te, per il tuo bene, dico] lì mi intraguardava pensando "mah, strano, la fran pare simpatizzare per il terrone".

In realtà, capito che il tizio lì avanti voleva non fare fattura a sto punto speravo di portare i dugentotrentatré euri a conto pari. Cioè, calare qualcosa, che magari l’uomo avendoci sangue del Sud era anche propenso alla contrattazione.
Solo che il pirla riesce e io do un occhio alla nota spese. Prezzi un attimo messi a caso, col cazzo che poteva farci una fattura regolare, ma volendo caricare anche l’IVA si sarebbe saliti un casino, e insomma, la Annina mica va a battere eh per guadagnare [Mirko, però è una idea, che ne pensi?]
Ordunque, quando colui rientra sono già le cinqueemezza. E ricordando dell’ora di coda il giorno prima ci abbiamo della premura, ecco. Lui, contrito come Quasimodo mentre cantava Balla mia Esmeralda tenta di strappare gli ultimi applausi ritirando fuori la finanza bla bla etc etc. Solo che, pagando col Bancomat, deve fare un cencio di ricevutina. Lì l’actor studio.
"Guarda rimetto i soldi dell’IVA io, per stavolta li rimetto io…"
Io pensai una cosa tipo:
"Ma rimetti quel cazzo che ti pare, io ti ci manderei la finanza tutti i giorni, ladro. Più spesso debbono venire. Ladro."

In tutto questo la Anna ci aveva fretta. E glielo ricordava ogni venti minuti.
Dannato bancomat. Annina, portami a contrattare da qualche parte, ti prego.

Linea verde.

Visto che il Tatino ha lanciato il guanto della disfida postando delle foto ora vi narrerò, con il pathos tipico di Brosio e l’eleganza tipica di Vissani quella che è stata l’esperienza meneghina.
Prendo il regionale per Milano. Che già qui, regionale. Qui siamo in Emilia, loro stanno in Lombardia. A trenitalia ci hanno le idee confuse, oppure è tutto un gioco semantico troppo avanti, tipo, che ne so, il fincipit di Eìo e io non l’ho capito.

Il regionale passa per posti che sono rilegati nella tua memoria quando vincevi quel giochino fiori, frutta, animali, città. Casalpusterlengo non avrei mai pensato di vederlo in vita mia, ma dopo esser stata a Senlis ormai non mi perplimo più neanche di vedere tali cartelli ferroviari.
Mirko mi chiama già quando avevo già passato Lambrate per chiedermi se il treno fermava a Lambrate.
Sì, l’aveva fatto due minuti prima.
Arrivo in Centrale, binario 18 mi pare. I cartelli per la metropolitana sono tutti per chi arriva nei primi binari. Chiedo all’edicolante se li vende lui, i biglietti della metro. Aprendo la bocca con una dentatura tra lo spot della giornata della salute dentale e i devasti della piorrea mi dice che debbo andare lì di fronte al tabaccaio.

Guardando la sua cavità buccale mi sovviene quel manifesto lì, all’entrata dell’ospedale, dove c’erano scritte e prescritte tutte le esenzioni per avere le curie dentarie aggratis.

Poi scendo le scale, pensando che non siamo all’estero e quindi la metropolitana e la sua entrata dovrebbero essere appena fuori. Di culo indovino. Ho due cose in mente. Tre, invero. La verde, la linea verde, cimiano e uscendo, come disse la Anna il giorno prima, A DESTRA.
Che poi la sera prima pensai, perché scendendo le scale… si vede che la metropolitana va in superficie. Sì, Cimiano è la prima in superficie della linea verde.

A Milano i telefonini in metro non prendono.
Io, che quando sono all’estero uso quei momenti per telefonare o mandare sms.
Non sono esterofila, è che lo vedo fuori dal mondo che a Saint Germain de Pres o a Odeonplatz posso stare lì a dire "Arrivo, prepara da mangiare" e a Milano no. Potrei dire in Italia, ma ora parliamo di Milano.

Scendendo a destra trovo i Tatini. Loro trovano me, invero. Io guardavo a caso, e la voce di Anna mi indirizza verso loro. Andiamo verso casa sua. Troviamo posto nella via parallela, poi andiamo verso la Tatinhaus. Bellina. Un po’ la casa che mi sarei presa, l’avessi trovata. Poi ho trovato la mia, che è scomoda da arredare perché tutta in lungo ma in realtà se la passiamo al signor Ikea ti dice che possono starci otto persone. La casina dell’Anna invece è carina, perché non so come mai ma le mansarde a noi donne garbano, e per di più ha quel bagno col mosaico che è meraviglioso.
Mangiamo, e poi tentiamo di persuaderci di uscire. Arriviamo in San Babila, poi il Duomo, poi la Galleria, il rito di pestare le balle al toro (che ormai ce l’ha scavate, porello), la Scala con la torre scenica che a me piace, via via al Castello.
Poi a riprendere la metro, sotto quella scultura moderna con l’ago e il filo che forse piace solo a me e ad Anna. Poi casa, riposo, a finire il day one in cazzeggio e compagnia in previsione di due giorni più casinosi.
[continua, meno zuccherato]

Avevo pensato di essere un rottame, anche a Digione.

Ho la spalla destra così gonfia che fatico anche a condurre la forchetta alla bocca. Fortuna che so usare anche la sinistra.
Ordunque, siamo arrivati quasi agli sgoccioli nel narrare la Francia, ma tanto le cose me le ricordo sempre con forte effetto retard.
Tipo, oggi possiamo anche parlare di Dijon.
E perché? Perché anche a Digione stavo da schifo, mendicavo di bar in bar per prendere qualcosadisolido e qualcosadicaldo per mandare giù pastiglie.

E alla fine mi sono riaccorta guardando le foto che Digione è bellina. Da una parte ricorda un po’ Parma, dall’altra… un momento, se io rivedo Parma dappertutto non è normale. Vabbè. Da una parte ricorda un po’ Parma [saranno le rotatorie, ma non ne sono così certa], dall’altra ricorda una città tedesca a caso.

Teatro di Digione

Io lavoricchiavo qui accanto. Pieno centro, perché diciamo che alla fine la Parma della Borgogna si svolge tutta in un cerchietto che si espande da Place de la Liberation e abbraccia poco oltre. Davanti al teatro c’era la pizzeria kebab, di fronte, in una chiesa sconsacrata il museo Rude [che non ho visto, dacché Rude non mi garba affatto]. Alla sinistra del teatro, verso la piazza centrale quindi, c’è il museo delle belle arti. Lì, son sincera, un po’ mi ha roso che non ci ho messo piedino.
Perché le due cose più importanti della Borgogna sono le bellezze artistiche [guardate un po’ i tetti di Beaune] e la cucina.E io in quei giorni al solo sentir parlare di lumache alla borgognona avrei rivomitato anche il pandoro di Natale.  

Scaleo gotico

Però, chi ci è andato me ne ha parlato bene. Lì ci hanno trasferito, al secondo piano, diversi monumenti funerari dalla certosa di Champmol che è appena entrate in città proveniendo dall’autostrada quella che viene da Parigi [probabilmente la A6, ma non ricordo benone]. Come del resto altri monumenti funebri li troverete nelle chiese; ad esempio, all’interno di St.Benigne vi vedrete diverse tombe con gli estinti nell’atto di pregare inginocchiati rivolti verso l’altare.

Dijon: Il cielo e la facciata di Notre Dame

Imperdibile, tra le chiese, è proprio Notre Dame.
Specie l’esterno, con quelle protome animali e umane aggettanti dalla facciata. Sul fianco destro troverete la chouette. Povera bestiola, perse la sua originaria forma dato che si pensa che porti bene [che ne so, come il muso del maiale alle logge del Porcellino a Firenze, il piede di San Pietro al Vaticano, le palle del Toro in galleria a Milano]. Presso la torretta di destra c’è il Jacquemart, figure che percuotono la campana allo scoccare delle ore. Ora, però, a voi… quello in basso non pare l’omino michelin?

St Michel

Altra chiesa da osservare è quella di St.Michel.
Ricordate che eravamo al teatro? Beh, questa chiesa sta alla destra del teatro. Contrariamente al gotico imperante ovunque qui la facciata è tardorinascimentale. L’interno è essenziale, quasi spoglio. Interessantissimo invece è il lavoro cesellatorio del portale centrale. Nel pilastro centrale vi è rappresentato san Michele, provvisto di spada sguainata. Sopra di lui, nel timpano scolpito da de la Court c’è il giudizio universale, nell’archivolto centinaia di graziose figurine a cascata.

Place de la Liberation
E tra le case a graticcio varie [la più rappresentativa è quella di place Rude, visto che qui vi si tiene la festa della vendemmia giusto a fine settembre] e quelle con i tipici tetti borgognoni a mosaico colorato, si arriva o meglio dire si torna a place de la Liberation, difronte al palazzo dei duchi di Borgogna.  La piazza è stata risistemata, perché come accadeva anche da noi una volta c’era il parcheggio. Oggi è tutta zona pedonale aperta alla circolazione dei Bus.
Non fatevi ingannare dal cielo blu, faceva un freddo porco.
[continua]

Epistassi.

Quella mattina mi sentivo come stamani.
Mi alzai semirincoglionita verso il bagno, inalandone il pungente odore di mercaptani [orbene, voi direste puzzadifogna], e sentii qualcosa di semicaldo bagnarmi il labbro.
Uhm, detto così pare un post porno.

In realtà era sangue dal naso. Ho la sinusite cronica, e dopo un po’ di umido e un po’ di freschino ho sempre queste sorprese. Infatti è stata una genialata, venire ad abitare in pianurapadana.
Erano le sei ed ero a Compiegne. Febbre, mal di gola, e mal di tutto. Il pensiero di dover attraversare Parigi per scendere fino a Fontainebleau e lavorarci il pomeriggio, almeno a quanto avevano detto il giorno prima facendomi spendere di ogni in roaming.
Che poi la storia del roaming è pallosa. Per di più visto che vodafone è presente in tutti i paesi. Ma questo è, al solito, un altro discorso.

Da Compiegne a Fontainebleau sono 150km, per googlemaps. In realtà passi tutto fuori la cinta di Parigi, partendo in pratica, dal casello del parco di Asterix, costeggiando Marne la Vallée ed Eurodisney fino ad arrivare, passate le banlieu parigine, proprio un po’ fuori Fontainebleau.

Il castello, parco e le graziose aiuole

C’è un po’ dal casello al centre Ville. Si passa per boschi che han fatto la storia di armistizi della seconda guerra mondiale ricchi in testimonianze e in autovelox. Mai visti così tanti, per davvero. Postazioni fisse, per giunta. Poi si arriva intorno al centro, costellato di rotatorie che mi fanno tanto ricordare Vignali. Alla fine, quando si arriva all’ultima a sud ovest, che al centro presenta un obelisco. Lì, individuando anche i bus, capirete che vi avvicinate al castello.

Era mezzogiorno, e indecise tra magnare o visitare il castello si sceglie la seconda.
Sbocconcellando qualcosa e facendo il ticket per il parcheggio [c’era anche il bonus dell’ora di pranzo, due ore aggratis] si arriva ai cancelli.

Chateau de Fontainebleau

L’ingresso principale, guardando la Coeur a destra, non è segnalato.
Però quando entri ci sono due biglietterie. Una normale, e solo la seconda per biglietti speciali del tipo riduzioniper. Quindi si fa la coda due volte, con il bagno prossimissimo alle biglietterie, da cui derivano odori non proprio di Violette [forse, per farci sentire in epoche più lontane?]. Da lì controllano il biglietto una volta, si sale e ci son le prime stanze dopo il busto di Napoleone III. Il corridoio in legno coi piatti di SevresPrima c’è una sala coi quadri, poi un corridoio in legno pieno di piatti di Sevres incastonati. Fin qua va bene, la luce è più che buona e le foto, da farsi senza flash, escono come ottimali. Poi si inforca un insieme di stanze dove la luce non è così presente, fino ad arrivare a muoversi da un’ala all’altra del castello, di corte in corte. D’un tratto, fuori la sala da ballo, c’è una nicchia con una statua neoclassica. Bellissima, la dicitura che esplicava più o meno la statua che andava a intitolarsi come "La pudicizia cede all’Amore".
Pensate voi, era ubicata fuori gli appartamenti dell’amante del re. Oserei affermare che era una dichiarazione.
Purtroppo, da qui, un insieme di rompicoglioni andò a palesarsi.

La balaustra ove si accomodavano i musici

A destra potete ammirare come due suddite di Putin, sprovviste però di polonio, in modo arrogante vanno a piazzarsi al centro della stanza.
La tizia con la fotocamera mi si avvicinò e dicendomi "Photo" con la mano e un gesto significante raus mi invitò di togliersi dalle balle mentre facevo io la foto con calma alla stanza. Iniziò un mio inviargli colpi ad alta voce [l’acustica è ottima, debbo affermare] fintantoché si tolse dai maroni. Odio l’arroganza, odio. Più in là invece trovammo un gruppo di tre francesi casinari. Facevano suonare ogni due secondi l’allarme della stanza dacché erano propensi a sporgersi oltre le protezioni. Poi dietro di noi c’era pure un gruppo di Bulgari, che vociava.
Uscite da lì si torna al freddo. diciamo che i giardini si possono suddividere in tre settori.

Vi assicuro che son foglie ridotte in poltiglia

Uno: quello volto alle scolaresche.
C’erano dei simpatici bimbi che innanzi allo stagno delle carpe e la porta dorata pascolavano allegri e gioiosi facendo chiassoso bordello.

Le Grande Canal

Due: la parte turistica, coi bacini e le bordure, il Romolo e il Tevere, l’acqua che si increspa sotto il forte vento, gli edifici in fondo che sono abbandonati a se stessi venendo meno alla regola "all’estero ci tengono più ai monumenti che in Italia". Sotto proseguono i bacini, e la strada passa sotto le Cascate e il Gran Canale. Pensate, il re pensava che si potesse riempire in quattro giorni, e invece ci mise il triplo. Quando si dice il senso pratico dei regnanti.

Vabbè, ma povera bestiola

Tre: la parte delle corti e del Giardino di Diana, che sembra più indirizzata all’uso della cittadinanza. Pieno di giovini a farsi canne, infatti. Ma lì, nel giardino, l’ilarità generale. La fontana di Diana, con sotto, a schizzare acqua, segugi che orinano da accucciati. Poveri cani, dico. Gli han tolto la dignità. Ah, approposito, se volete il modellino del cane che piscia in resina, da mettere sullo zerbino, vi costa al bookshop intorno ai 4000 euro, mi pare. Per Natale è un ideona, secondo me.
[continua]

Ma poi arriva Milano*

Il due arriverò a Milano. Ci ho già la borsa fuori e poi ero indecisa se portare o no il minicuscino.
Quando mi ruppi un po’ tutto a livello sciistico [o sciatorio? sciievole?] provocai un lieve disallineamento che, siccome dormo di fianco a sinistra, mi provoca simpatici dolori alla schiena. Da lì ogni volta me lo debbo trascinare ovunque schiacciandolo in borsa. Pensare che era il cuscino che con la lana avanzata dalle cardature dell’hotel l’avevan fatto per la mia carrozzina da bimba. Ora invece lo metto tra le ginocchia e bilancio l’apparato osseo, ma in caso che manchi mi arrangio con teli di spugna arrotolati, tappetini da bagno arrotolati o ripiegazzati, plaid [ma son scomodi, io tranne che nella zona spalle ho sempre caldo] ripiegazzati che poi debbo recuperare la mattina in un modo o nell’altro.

Lettuccio

Quindi la mattina in Francia, prima di fare la camera, ricorreva sovente il pensiero.
"Maccazzo, il cuscinetto l’ho schiaffato in borsa?"
Che poi magari a volte il cuscino di scorta in alcuni alberghi lo usi come cuscino primario e il primario lo adopri invece per le zone meno nobili. Così eh, perché magari ci hai visto una semiombratura o insomma, non so, cavoli, ci devi mettere il viso insomma, ecco anche.

Ma arriviamo al punto. Si fa per dire. Stamattina mentre scioglievo il nescafé classic per il secondo caffé della giornata con Alessio, il mio solito compagno di università, si parlava.
Quanto cazzo costano gli alberghi in Italia e di come, alla fine, la qualità non si rifletta con la categoria.
Io debbo confessarvi una cosa.

Hotel Etap, St. Apollinaire

Della catena Etap sono rimasta piacevolmente accontentata. Trattasi di alberghi low cost [in Francia esistono della catena Envergure anche i Premiere Classe che sono simili, ma lì variano molto di posto in posto per quanto riguarda camere e bagno] che hanno in una camera base: letto, lavabo, gabinetto, doccia, tv e aria condizionata. Camere non piccolissime, dai 13 mq in su. Le foto che vedete [in questa a destra sul letto c’è anche la mia giacca buttata sul letto, qui il canadese dirà che son disordinata] si riferiscono all‘hotel Etap di St. Apollinaire, vicino Dijon, a tre rotatorie dal centro città. Pulito, davvero pulito e silenzioso. Trentasei euro per una doppia, solo pernottamento più trenta cent di tassa di soggiorno. Parcheggio [custodito] incluso. La mattina prima delle nove e quaranta non iniziano il giro delle pulizie, e ciò è pressoché buono.
Stessa cosa a Parigi. Se gradite soggiornare in un albergo comodo e pulito [parlavamo coi polacchi musicisti con cui cenavo che il loro hotel invece non era così pulito, eppure era un 3 stelle preso dall’organizzazione] c’è l’Etap hotel La Villette, hotel con una doppia a 53 euro, 2 euro di supplemento per le bestiole, 8 euro di parcheggio al giorno, colazione (in caso) a 6 euro [ma fare la colazione in hotel a Parigi secondo me è un delitto assurdo]. Stazione della metro Laumiere a centocinquanta metri circa. Anche qui [sigh, per sentito dire] le pulizie iniziano abbondantemente dopo le nove. Ottima pulizia, specie perché qui il bagno era in un unico blocco lavandino a se stante e poi gabinetto/doccia assieme chiusi da una porta ma (naturalmente) scostati tra loro.

Il casino, è che dicevamo oggi, in Italia non trovi cose simili.
Se paghi poco pensi che è la pensione monostella con le pantegane morte sotto il letto. E a volte è davvero così. Ne ho visti [con occhio critico da operatore del settore] di alberghi davvero orrendi con standard igienici non irresistibili. Quindi ormai sto facendo una cernita ragionata. Non so perché, ma io a volte preferisco spendermi i danari a tavola o in amabili stronzate. E quando si trova una cosa pulita e confortevole, insomma… perché non condividere? Oh, poi se volete pagare dugento euri al Mercure o al Sofitel benpervoi eh, ma io son fatta in codesto modo così.
[e non dite che sono tirchia e che mi daranno le chiavi di Genova, sono oculata io]
Se vi trovate già in Italia bene con gli Ibis con gli Etap vi troverete uguale bene, dacché l’unica cosa che cambia è il bagno, alla fine.

Peccato che da questa recensione non ci guadagni nulla, eh.

* Nel senso, ho terminato le foto su flickr della trasferta transalpina. Ho visto gente in scene di giubilo. Ora però farò le foto a Milano, sappiatelo.

Avere (avuto) un lavoro figo.

L’avere avuto per un po’ un lavoro figo consisteva in un insieme di amenità.
a) fare figure di merda con gente considerata Vip [tipo beccare in conservatorio un noto direttore di orchestra della tua stessa nazione, entrare blaterando in crucco perculando gli astanti visto che in venti minuti era da essere lontanissimi, divenire viola melanzana, uscire fingendo di aver sbagliato stanza]
b) spendere per una cena ganza sebbene non si mangi una mazza. 45 euro, lirimortacciloro, e il giorno dopo pranzare alle tre col sushi per poi uscire e frugare in borsa cercando i Cerealix, che di norma mi fanno schifo e mangiarli con gusto.
c) uscire dal lavoro alle 23, cenare a base di roba piccante e non rendersene conto.
d) trovarsi a parlare la propria lingua solo quando ci si incazza e praticamente scordarsi che si è in Francia e il vernacolo tosco non è che lo capiscano.

Il problema è che scoprirsi bravi in un lavoro che, pensandoci ancora, non hai ancora ben capito in cosa consiste alla fine è un po’ un casino.
Visto che il capo ti manda avanti a lui per appianargli e preparargli il lavoro.
Arriviamo al punto.

Io in una dozzina di giorni ho avuto solo una mezza giornata molto libera.
Dovevo andare a Senlis a dare un occhio a quello, che dalla traduzione dal tedesco, doveva apparire come un teatro atto alle rappresentazioni di musica classica.
Senlis: Saint-PierreIl realtà lo pseudoteatro era questa chiesa dismessa qui accanto. Naturalmente io non avevo un tubo di niente come indicazioni. Ma siccome a volte il fattore C irrompe nella tua vita per brevi istanti ti va anche bene. Guida touring Parigi e dintorni quella verde, ma del ’93. Non ha la piantina. A fortuna il mio pilota si ribella alle indicazioni del copilota e parcheggia sotto la cattedrale di Nostra Signora.

Senlis: Cathédrale Notre-Dame

Si scende, si visita e si fanno foto. Anche perché si è anche reduci da Chantilly, dove dalle 10 che si era partiti da Parigi [non ricordavano dove avevano messo il mio pacco -scavicchi ma non apra- al conservatorio ricco di cotillons per il mio lavoro (doh, così sembra che ci fosse un necessario per lap dance, ma non era così)], alla prima visita turistica vera e propria al castello e al museo Condé [ma qui, ci starebbe un altro post, magari domani eh]. Dicevo, sulla destra della cattedrale c’è la ex chiesa di saint Pierre. Sì, nella bacheca c’era scritto che si fanno concerti bla bla bla. Ma io avevo appuntamento lì per le 15, per fare i dovuti accertamenti. Erano le 15 e 10 e non si vedeva nessuno. Faceva freddo. A un certo punto l’illuminazione: saranno mica implicate nell’apertura di ciò quelle stronze dell’ufficio turistico che mi fissavano quando io scesi mezz’ora fa dalla macchina? Con una affabilità tutta tedesca mi appropinquo all’ufficio e sì, erano loro.

Verso la foresta

Da qui, avendo esaurito il mio lavoro per la giornata, mi sposto verso Compiegne.
Vi faccio un utile servizio: a Compiegne, simpatica città universitaria, non c’è molto. Due buone pasticcerie, una chiesa trascurabile, il castello, il bel parco, la Rath… ehm, l’hotel de ville con il carillon fatto con i Lanzichenecchi che pestando i piedi suonano le campane.
Le pasticcerie soprattutto son meravigliose. Le meringhe grosse quanto una mano di Morandi a 50 cent. Cioccolata con dei dolcini che a Laura di Tempestadamore je fanno un baffo [ho detto baffo, ho detto]

Verso la statua di Giovanna d'Arco

Cioè, come borgo è bellino. Se vi occorre un ottico ce ne sono a iosa. Se vi occorre un posto ove mangiare… non lo so. Vi dirò, quella sera avevo circa 38 di febbre, quindi rantolai in hotel decidendo di arrangiarmi come possibile [pane del mulino ai 5 cereali, tonno (ehm) e ceci in scatola]
Ma il problema giunse lì. Insomma, camera pulita e tutto… ma come in tutta la cittadina in quel dì riboccavano le fogne.
Ogni volta che quindi si giungeva nelle prossimità del cesso si odoravano olezzi che insomma, non erano così invitanti. Per di più il bagno aveva una griglia-sfiatatoio sulla camera. Lì, in un attacco d’arte di cui Muciaccia pure si sarebbe commosso, prendo la guida ai programmi di canal plus, lo scotch e tappo il tutto. Dopo naturalmente rantolo a letto, pensando "oddio domattina alle dieci debbo essere a Fontainebleau e in pratica debbo passare Parigi di nuovo, ommadonna mi sa che ritardo".
[banalmente continua]

Frantour (essay 2)

Sappiatelo, dopo lunga cernita sono riuscita a pubblicare tutte le foto di Parigi.
Naturalmente ho messo le più meritevoli, altrimenti sarebbero state circa 500.
Ora sarà la volta di Chantilly, Senlis, Fontainebleau e Dijon. Prima di Natale sicuramente ce la farò a mettere su tutto, anche perché mi sto divagando coi vari pool di flickr e così mi diverto un mondo.

[lo so, vi ho sfinito, me lo dite spesso sul messenger, coraggio]

Al solito ora si posteranno delle fotine, cliccabili come l’altra volta, di posticini particolari che potreste visitare nella vostra gita a Parigi. Poi almeno tornate a casa e fate i fighi con parenti e colleghi e dite "quella lì del grissino che ho conosciuto a causa della Hunziker me l’aveva detto, perché io la conosco quella lì e oltre a far ridere a volte dice anche cose inutili ma belle" [quasi mi ci convinco anche io].
Pronti?

Rue du bac: santuario della Medaglia miracolosa

Se ci avete [in famiglia ce ne è sempre una] la zia casaechiesa pretina e chiesina che vi guarderà come peccatori per essere andati a Parigi, nota città che ti trascina tra night e mignotte [non so, l’immaginario collettivo a volte è strano] la sorprenderete e la farete rosicare tirando fuori la fotina del santuario della Medaglia Miracolosa. Uscita metro Sevres-Babylon, rue du Bac (70 e qualcosa, 74 forse). Fuori trovate opuscoli informativi, così non sfigurerete di fronte alla zia che sicuramente ne saprà per sentito dire.
Usciti a destra c’è la più grossa Epicerie di Parigi. Una gastronomia con davvero di tutto da ogni parte del mondo. Ecco, come dire… c’è di tutto. Nei miei giorni di visita anche un prosciuttaio napoletano che affettava del Parma.

St. Etienne du MontDi norma ci si ferma al Pantheon, si guardano le tombe e si scappa verso i Giardini del Lussemburgo o a volte non si guardano neppure quelli. Trenta passi dopo il Pantheon, esattamente dietro a sinistra c’è St Etienne du Mont. Chiesa che vi sorprenderà per le balaustre interne. Nella navata di destra, prima del coro, c’è la tomba di S.Genevieve, patrona di Parigi, trasportata qui dopo la sconsacrazione del Pantheon. Nella parte in fondo proseguendo nel deambulatorio dopo la sagrestia, nell’abside a sinistra una colonna sta a indicare la tomba di Racine, a destra quella di Pascal, le cui spoglie vennero portate qui da Port-Royal. Esisterebbe anche una fotina del sepolcro di Pascal ma non la linko, perché è davvero orrenda e me ne scuso.

Chiostro di St.Severin

Qui se siete studenti di medicina, lo so, gioirete. Questo accanto è il chiostro [come tanti chiostri medioevali ne è l’ex cimitero] di St Severin. Chiesa molto bella, in gotico fiammeggiante, nota alle cronache perché si presume che ivi quella lavandaia di Dante Alighieri, nel suo presunto viaggio a Parigi, si sia fermato qui spesso in preghiera.
Ma rimaniamo al chiostro. Nel 1417 qui ebbe luogo la prima operazione di calcoli alla cistifellea. Luigi XI promise la salvezza a un condannato a morte qualora fosse stato disposto a farsi operare [eh, mal che vada moriva sotto i ferri, ma invece sopravvisse…]

Fontanella

Nel 1871, il filantropo inglese Richard Wallace si trasferì dalla sua terra natia a Parigi. Vedendo le difficoltà di approvvigionamento idrico nelle zone più periferiche della città che andavano espandendosi e in cui era concentrata la maggior parte della popolazione decise di intervenire. Non per nulla l’era filantropo. Quindi offrì alla città di Parigi 66 fontane per abbeverare i cittadini. Di queste curiose fontanelle ne son rimaste pochine, tra le tre viste in giro ricordo una sui campi elisi, una sul boulevard de la villette, l’altra davanti a San Sulpicio. Questa è proprio quella sui campi elisi, a sinistra lasciandosi alle spalle l’arco di Trionfo proprio a due passi dal semaforo pedonale che da su place de la Concorde. Da segnalare che esistevano attaccate sotto le figurine, per mezzo di alcune catenelle, delle ciotole da usare come bicchiere. Tolte poi in seguito perché non era igienico.

St. Roch

St, Roch è ubicata nella via più elegante, o almeno una tra le più eleganti, di Parigi. Infatti tra le varie facciate di rue du Fabourg St Honore trovate anche questa della chiesa, lunga 126 metri e con una peculiarità. L’unica chiesa di Parigi orientata con l’asse nord-sud, le altre sono tutte est-ovest. Oltre ai sepolcri del drammaturgo Corneille, del sovrintendente ai giardini Le Notre [che disegnò anche Parco Ducale a Parma oltre a numerosi giardini francesi] e il filosofo Diderot troverete anche un pezzetto d’Italia.
Infatti all’inizio della navata sinistra troverete la lapide che sta a ricordare che tale Alessandro Manzoni, durante un celeberrimo attacco di agorafobia dovuto al casino generale per i festeggiamenti -mi pare- del matrimonio di Napoleone III, ritrovò qui la sua Fede.

La Géode a la Cité des Sciences

Forse perché era la zona in cui lavoravo e dove alloggiavo, ma mi ci sono quasi innamorata. La zona del Parc de La Villette è meravigliosa. Qui a lato vedete la Géode, una vera e propria palla ricoperta di acciaio lucidato [6500 triangoli] dove all’interno si proiettano film sfruttando l’emisfericità dello schermo di mille mq. Esternamente, proprio alle spalle rispetto a dove ho fatto questa foto, c’è una bizzarra scultura. La bicyclette ensevelie, di Oldenburg. Una sorta di bici insabbiata che mostra solo un pedale, il sellino, parte del manubrio col campanello e un pezzo di ruota.

Stress post traumatico.

Secondo me il mio compagno di uni, col quale studio e che è a conoscenza di questo spazietto web [e che si lamenta che questo sglaps sia eccessivamente buonista e puccettoso], un po’ non mi sopporta, per due o tre cose.

Mangio troppo in fretta e due secondi dopo sono subito pronta a riprendere a studiare.
Quando c’è da studiare di brutto mi sacrifico e rompo i coglioni affinché si finisca.
Cammino troppo velocemente, come se mi mancasse sempre tempo.

Il problema è che il lavoro mi porta a fare tutto ciò già normalmente.
E poi non posso mai dire che lavoro, in facoltà. I miei docenti la prendono molto male, se uno dice che lavora. La prendono come mancanza di serietà. Come se te non ti applicassi. Boh.

Pensate ora, di ritorno da Puzzonia. Io che in pausa pranzo mi passeggiavo per tutti i Campi Elisi e poi tornavo seduta nel mio ufficietto etto etto.
Ho il piccolo difetto che mi riconosco di camminare con un passo troppo spedito. Ma in realtà corro anche in bici. Insomma, ci ho sempre fretta ma me la prendo con calma. Pare un controsenso, ma anziché dimenarmi nervosamente io, con la consueta flemma tra l’addormentato e il pensieroso, penso a muovermi.

Che la maggior parte delle volte è sempre tardi, eh.

Il cavallo e l'obelisco
Ad esempio l’unico giorno in cui ebbi la pausa pranzo notevolmente più lunga andai a fare un bel girone nella zona dei Campi Elisi-Tuileries.
Feci forse, di questa sopra, la foto più notevole scattata in Transalpinia.
Pioveva.
Pioveva ed era pieno di Polizia, ad essere precisi. Non so che c’aveva, Chirac, ma c’era Polizia ovunque, coi poliziotti pronti a mangiare, sebbene fossero le 11 o le 12 non ricordo, nei loro pullmini coi loro cestini del pranzo.
Io non avevo fame, ma li guardavo. Ad esempio le guardie, i nostri pennelloni di Granatieri son meglio, non sono così imponenti. L’Eliseo non è sta cispa. Non so, da fuori si presenta con la stessa maestosità di casa mia. Quasi nulla. Imbucato su una traversa lì, sempre dei campi Elisi. Ma la Polizia te la spargono fino al Grand Palais, così ti fanno accorgere che il presidente, anzi il signor presidente è lì in zona.
Poi quel giorno sono risalita verso l’Opera tramite i grandi viali. Ci passai poi anche di notte, di ritorno dal concerto dei Lacuna Coil, ma di solito col buio e con le luci non è che ci capisci un cazzo.
Mentre invece quel giorno ai giardini de le Tuileries pioveva. E c’era un gruppo di gonzi che girava un video musicale. Pioveva, e lo vedevi perché negli specchi d’acqua sotto la Piramide di vetro le gocce si spandevano sull’acqua.
Pioveva, quasi alla parmigiana, e i tuoi capelli né ricci né lisci, come quelli della pubblicità, facevano quel cazzo che volevano. Ché quando non li colori non so come mai ci hanno le loro storie. Che ora invece che li colori sembra che non l’hai fatto perché il biondo sussiste e resiste. Però pioveva e te odi tenere l’ombrello perché lo consideri utile a cavare solo gli occhi altrui. Però l’acqua sulla fotocamera non era bella.
La stanchezza nelle gambe la sentivi solo la mattina nel letto. La combattevi buttando l’acqua calda sulle gambe sotto la doccia. Il problema è che poi la temperatura dell’acqua non l’avverti tanto, quando è calda, quindi prima o poi ti aspetti che ti regalino il bagnoschiuma all’alloro così sei già pronta grigliata.
Però eri contenta, lì, con le tante cose da fare.
E non erano cose brutte, ecco.
La tua carenza di stima a volte viene ben curata col lavoro che ti fa sentire utile.
Poi magari anche quando fai le cazzate ti diverti. Come quando entri al conservatorio, in una delle sale, con una sorta di dichiarazione di guerra risuonante all’orecchio dei non parlanti bavaresi come se si dovesse invadere il vostro garage e che invece stava a significare una cosa tipo "Cazzoni, porcaboia, siamo in ritardissimo… portate le chiappe fuori…" e trovi un importante direttore di orechestra che spiega e parla agli stessi a cui tu hai rivolto l’amichevole esortazione.
Peccato non si potessero sollevare i listoni del parquet e infilarcisi sotto.
Così, magari quando sei tornata a casa e riprende il tran tran quasi ci rimani male. Forse perché ti manca qualcosa. Forse perché le mura di casa ti fanno pensare alle stesse cose. Forse perché ci si risveglia dall’aver un po’ sognato.

L'invidia del velo

Vi dirò, io ve lo dirò sempre che andare in bici è bellissimo.
Ieri ho ripreso il mezzo dopo mesi con una certa commozione. Ma davvero eh.
Io alla mia bici che ci ho qui voglio bene. Certo, l’ho un po’ svergognata mettendoci sopra un cestino rosa confetto, ma ci avevo quello lì per lì e poi son sicura che non se lo ciula nessuno.
Però io alla mia bici voglio bene. Anche perché questa non è una bici, è un gatto della valpadana. Se voi vedeste [e ve lo farò dire da lei, che verrà a vedere la Parigi delle zanzare] come è messo il fondo stradale, specie quello là di via D’Azeglio non so se vi preoccupereste per la vostra bici come me o per voi che potreste sfracellarvi tra un porfido e l’altro.

Però io alla mia bici voglio così bene che quando sono stata a Parigi mi è venuta l’invidia del velo.
Il velò è la bici, in francese.
Lì ci hanno le ciclabili sgombre e lo spazio ai semafori riservato. Poi non ci hanno i tombini semiscalzati e i rattoppi li fanno alla crucca, spiego: quando si crea una voragine nel manto stradale non fanno come da noi che prendono la vanga [sì, quando han voglia di rattoppare, sono ottimista] e buttano giù a caso l’asfalto finchè non si forma una specie di tappo a collinetta. Lì asportano per bene un pezzo d’asfalto e ci fanno una sorta di pezzuola di rattoppo, che a volte si nota perché figosamente prima tentano di fare l’asfalto rosaceo, poi rattoppano con quello nero. In pratica viene una sorta di bandiera del Palermo [sempre Fozza quest’anno] sul suolo stradale.
Ma soprattutto, miracolo, eccetto lo pseudorabbino che mi stava per falciare il primo giorno, sanno stare in bici. Che sembra strano a dirsi, ma qua non è che molti hanno capito che la bici funziona pedalando. Assumono posizioni strambe, per curvare sembra che debbano far fare la curva a un trattore [ti inchiodano avanti e poi girano di botto], ti sorpassano alla cazzo passando vicinissimo al tuo manubrio.
Ieri ero al semaforo per velocipedi lì tra via Mazzini e Ponte di Mezzo.
Io e un signore ci mettiamo lì a sinistra e a destra della corsia ad aspettare il verde.
Una sciacquetta mi sorpassa tra il cordolo giallo rialzato a terra e la mia borsa, in uno spazio millimetrico.
Il signore accanto mi guarda, e stranamente -non mi capita mai- devo aver fatto una faccia che rifletteva pienamente quello che stavo pensando.

"Cioè, ma se io anziché stirarmi ora avessi tirato il braccio indietro 3 secondi prima questa rantolava a terra e momenti l’ammazzavo, ché è senza casco e qui mica è come in Francia che i ciclisti portano il caschetto (cavoli, devo comprarmelo proprio) e roba catarifrangente"

Il signora accanto mi sfiora il braccio e mi dice:
"Signorina, non se la prenda. Questi qui c’hanno sempre fretta e non capiscono che magari uscire 3 minuti prima di casa gli cambierebbe la vita e non scartare qualcuno ai semafori. Che adesso tutti si alzano all’ultimo momento e poi sulle strade stanno tutti cupi e arrabbiati. Ah, non ci sono più i tempi di una volta…"
Mentre diceva questo un altro ciclista fa lo stesso. Saluto il signore, scatta il verde e alla prima pedalata sorpasso tutti.
Fa molto storiella zen.

Ma poi, ultimo ma non meno importante. Sindaco Ubaldi, a Parigi, Parigi diobono, i poliziotti della Polizia Nazionale [mica i gendarmi] mi giravano in bici. In bici, bellini, con la bici con iscritto Polizia e il caschetto e il giubbino catarifrangente….
Vogliamo far girare i vigili urbani in bici, a Parma, che sennò inquinano e così il comune non ci ha da pagare i bolli e i carburanti?
Questo oltre alle multe sulle merde dei cani eh. Così abbassiamo l’ICI, eh?
[potrebbe essere una idea geniale che non cagherà –ops– nessuno]